Venerdì, 5 Giugno : Parashat Nasso

Riassunto: Mosè continua il censimento del suo popolo. L’attenzione si sposta sui compiti dei Leviti nel tabernacolo. Questa Parashà ci illumina sulle leggi riguardanti le persone impure e come queste dovrebbero essere allontanate dall’accampamento. Ci vengono presentati i Nazariti, i quali fecero dei voti speciali ed infine leggiamo della benedizione sacerdotale. 

Lezione:  

Durante il mio periodo da studente presso la Central Synagogue di New York, il nostro rabbino emerito si presentava presso la bimah alla fine di ogni funzione per benedire la congregazione. Era un uomo alto e distinto, vestito di nero. Si alzava in piedi sull’orlo della bimah, con le sue vesti mosse dalla lieve brezza, alzava le braccia in alto come per coprire l’intera congregazione, benedendola con la sua voce tonante. Sentivo sempre un grande senso di soggezione.  Era come se il rabbino portasse la presenza di Dio presso il nostro bellissimo santuario, in più intimamente, nel mio cuore e nella mia anima. Solo più tardi, dopo essere tornato a casa, mi mettevo a pensare :  Un rabbino vestito di nero ha davvero il potere di benedirmi? 

E ciò mi porta a considerazioni. Quando un rabbino si trova davanti ad una congregazione in una sinagoga e recita una benedizione, lui o lei hanno davvero il potere di benedirci? Coloro che hanno commentato la nostra porzione di Torah sono sempre rimasti confusi dall’apparente potere dei sacerdoti nel benedire il popolo: "Parla con Aronne ed ai suoi figli : Così potrai benedire il popolo d’Israele” (Numeri 6:23). Nel Talmud, Rabbi Ishmael consiglia: "I sacerdoti benedicono Israele, e Dio benedice I sacerdoti.” Ciò nonostante, il concetto che degli esseri umani-anche nella loro posizione di sacerdoti o rabbini vestiti di nero- abbiano il potere di benedire nel nome di Dio è sempre stato qualcosa di altamente ripudiato dalla nostra tradizione. I nostri commentatori interpretano il verso biblico "I sacerdoti (loro) collegheranno il mio nome con il popolo di Israele e io (L’Eterno) benedirò il popolo (loro)."   Il potere di un sacerdote, o di un rabbino, è semplicemente di fare da collante tra Dio ed il popolo. Collegare Dio con l’umanità - questo è il potere della benedizione. 

Eppure, spesso chiediamo agli altri di benedirci; il ricevere una benedizione da qualcuno che rispettiamo o ammiriamo-spesso I nostri genitori o il nostro rabbino - ha per noi un potere immenso e significativo. Dopo aver visto una persona benedire un’altra, il poeta Dan Bellm scrisse: "Pensai per molto tempo a ciò che avevo visto, chiedendomi “Cos’é una benedizione?” ed il desiderio di volerne una. Fu questo solo uno scambio fra due persone, o vi era qualcosa di più profondo? Quando due persone si trovano e una benedice l’altra, Dio è presente? Che cos’é una benedizione ?” 

Le benedizioni che offriamo sono potenti, ma non sono magiche. Non abbiamo il potere di far si  che i altrui desideri si realizzino semplicemente tramite delle parole pronunciate. Non abbiamo nemmeno il potere di richiedere che Dio risponda ad una nostra richiesta, nemmeno tramite le parole di una benedizione. No, proprio come le nostre altre preghiere, le benedizioni rappresentano un’aspirazione, è un’espressione dei nostri desideri tramite gesti e parole. Come mi insegnò il mio amico e collega, Rabbi Yoel Kahn, la benedizione rappresenta un’espressione di speranza.

Nonostante mi consideri una persona alquanto razionale, non posso che commuovermi del potere e del significato di una benedizione, che sia io a riceverla, come nel caso della Central Synagogue, o che sia io a darla, come spesso faccio con voi di Beth Shalom. Un discorso di benedizione, come dice Vaclav Havel nel suo libro “Speranza” "è un orientamento dello spirito, un orientamento del cuore, trascende il mondo immediato e si ancora tra i suoi orizzonti.” 

Impariamo altrove nella Torah (Esodo 19:6) che è il nostro destino diventare un regno di sacerdoti, ognuno di noi con il potere di benedire. Quando pronunciamo le nostre parole di benedizione, siamo messaggeri di Dio, le nostre parole ed i nostri gesti diventano strumenti per raggiungere la citazione “Io benedirò il popolo”.

Chag Sameach!

Rabbi Goor

Venerdì, 29 Maggio: Shavuot

Mi sono sempre sentito male per la festa di Shavuot. In Israele viene festeggiata solo un giorno (due giorni negli altri paesi). Non ci sono riti casalinghi come durante Sukkot, dove costruiamo una Sukkah e scuotiamo il lulav e l’etrog.  Non c’é un seder come con Pesach con annessi tutto il cibo che possiamo creare dal pane azzimo. Non ci sono candele o regali come durante Hanukkah e tutti i cibi che mangiamo durante Shavuot sono a base di latte: cheesecake, blintz, kugel…Che per ebrei Ashkenazi come me—che spesso sono intolleranti al lattosio- rappresenta uno scherzo culinario alquanto crudele. Possiamo quindi dire che Shavuot spesso soffre di inferiorità a livello calendaristico. Ha luogo verso la fine dell’anno scolastico, spesso quando le scuole religiose sono chiuse, sono comiciate le vacanze e le famiglie stanno già pensando all’estate (di certo non quest’anno...).

C’è da dire che negli ultimi anni tendo ad apprezzare Shavuot molto di più. Il conteggio degli Omer rende il viaggio spirituale da Pesach a Shavuot ancora più significativo e le occasioni di studio in quanto parte del Tikkun Leyl Shavuot ha dato un valore aggiuntivo a questa festa.

Alcuni anni fa, partecipai ad una sessione di studio serale qui a Gerusalemme, studiammo passaggi selezioniati dal libro di Ruth. Quest’ultimo è un libro bellissimo e c’è un passaggio fantastico e spesso citato al suo interno, è il momento in cui Ruth parla con sua suocera, Naomi, dicendo:

Non costringermi a lasciarti, di voltarti le spalle e non seguirti. Perchè ovunque tu andrai, andrò anche io, ovunque tu vivrai, vivrò anche io, il tuo popolo sarà il mio popolo, ed il tuo Dio sarà il mio Dio.

Dove morirai, morirò anche io, e li sarò sepolta. Ciò e molto di più che il Signore può causarmi, solo la morte mi separerà da te”. (Ruth 1:16-17)

Queste sono le parole dei convertiti- coloro che non sono nati ebrei- coloro che scelgono di loro libera sponte di diventare ebrei.

Il professore che condusse la sopraccitata sessione di studio disse che, nell’era in cui viviamo, siamo tutti diventati “ebrei per scelta”. Non viviamo più nei ghetti. Non indossiamo più vestiti o simboli che ci identificano come ebrei. Possiamo assimilare quanto vogliamo dalle grandi culture che ci circondano. Possiamo negare o annunciare il nostro ebraismo come vogliamo. Rivedendo il sopraccitato passaggio, il nostro insegnante ci ha ricordato un celebre midrash scritto da Resh Lakish, un noto commentatore del terzo secolo :

“Colui che si converte è più caro a Dio di Israele presso il Monte Sinai. Perché? Perchè se Israele non avesse visto i tuoni e i fulmini, lo scuotersi delle montagne ed il suono degli shofar, non avrebbe accettato la Torah. Ma colui che si converte, che non ha visto nulla di tutto questo, si è arreso a Dio, ed ha quindi accettato il regno dei cieli.Per questo motivo chi potrebbe essere più caro a Dio?”

Resh Lakish ci invita a pensare che coloro che non sono nati ebrei ma scelgono di diventarlo sono effettivamente più vicini a Dio. Metaforicamente, chi di noi è nato ebreo ha provato l’esperienza del Sinai: eravamo convinti della bellezza dell’ebraismo e la maestosità che provammo presso il monte Sinai- il convertito non ha avuto questa esperienza.

Nella nostra celebrazione di Shavuot, riaffermiamo il nostro ebraismo. Siamo tutti ebrei per scelta. Tutti noi abbiamo scelto di essere qui, di fare parte di questa speciale comunità globale e di applicare una lente ebraica alle nostre vite. Non importa come celebriate Shavuot—che sia con un piatto di blintze, una fetta di cheesecake, oppure una serata passata a pregare o a studiare ---l’importante è usare questa festa del dono della Torah come opportunità di vivere le vita perseguendo la giustizia, l’amore, la bontà e la rettitudine.

Chag Sameach!

Cantor Evan Kent

Venerdì, 22 Maggio: Numeri

La settimana scorsa abbiamo finito il Levitico, questa settimana iniziamo Numeri. Il titolo di questo libro è più che giustificato, dato che gran parte di esso riguarda il conteggio. Dio dà istruzioni a Mosé e agli israeliti di contare il numero di uomini abili e arruolabili all’interno dell’accampamento israelita, dato che a breve dovranno combattere per entrare nella terra promessa.

In ebraico questo libro si chiama “Bamidbar”-nel deserto-e devo dire che preferisco questo titolo. Mi piace il deserto. Mi piaceva il deserto in California dove ho vissuto per 25 anni e mi piace il deserto d’Israele. Sono deserti molto diversi, ma entrambi offrono un senso di bellezza e solitudine e un’opportunità per pensare e contemplare.

Alcuni anni fa partecipai ad una raccolta fondi che comportava viaggiare in mountain bike da Gerusalemme ad Eilat. Per arrivare ad Eliat dovevamo attraversare diversi chilometri di deserto. Un deserto secco, polveroso e caldo, si sentiva solo il suono delle gomme delle nostre bici sul suolo appuntito e secco e il canto del caldo vento israeliano.

Durante la sera nel deserto puoi fuggire dalle visioni e dai suoni delle città ed ammirare i cieli in tutta la loro gloria. Stelle e pianeti, la luna, le galassie sospese sopra la tua testa. Le stelle non fanno rumore- non cantano e non parlano - ma la loro luce ci ricorda che la terra ed i cieli appartengono a Dio.

Il deserto è un luogo selvaggio e desolato ma è anche un luogo dove troviamo la Torah, proviamo la vulnerabilità, e gli schiavi fuggiti diventano un popolo. La mia amica e collega Rabbi Zoe Klein scrisse una bellissima poesia in cui analizza il deserto come luogo di scoperte.

Nelle prossime settimane scopriremo insieme il deserto. Assisteremo a miracoli e meraviglie, incontreremo la verità, incontreremo noi stessi e incontreremo Dio.

Vi sono tre regioni nella nostra anima,

L’Egitto, il Deserto e la Terra Promessa.

Molti di noi hanno visto il loro Egitto,

O forse alcuni sono ancora lì,

Incatenati,

Portando fardelli di paura, insicurezza,

Dubbio e debolezza,

Cercando la forza di rialzarsi. . .

Pochi di noi hanno trovato la Terra Promessa,

Il nostro destino,

La realizzazione dei sogni,

La prosperità, il nostro fiorire,

La nostra missione,

Parliamo spesso dell’Egitto . . .

Ogni festa, ogni preghiera,

Menziona che fummo schiavi,

Ricorda le sofferenze nelle mani del faraone ..

Parliamo spesso della Terra Promessa,

Ogni festa, ogni preghiera,

Esprime il desiderio per Israele,

La speranza che la voce giunga da Sion,

Guardiamo ad Est,

Pensiamo a Gerusalemme.

Ma molto raramente parliamo di, e preghiamo per, il Deserto...

Eppure questo è il luogo in cui molti di noi si trovano,

Attraversando la natura selvaggia,

Trascinando i nostri passi attraverso un viaggio di quarant’anni

Di natura incontaminata, spoglia, baciata dalla luna,

E’ qui che incontriamo la verità,

E' qui che incontriamo il miracolo,

Siamo ancora nomadi,

Presso la riva di una bellissima oasi,

E cantiamo la canzone dei nomadi . . .


      

Venerdì, 15 Maggio: Behar-Bechukotai

La porzione di Torah di questa settimana è doppia : Behar-Bechukotai. Nella prima porzione, “Behar” (che significa “presso la montagna”) impariamo le regole dello “Shmitah”-una legge secondo cui la terra deve rimanere incoltivata ogni settimo anno. Come noi esseri umani osserviamo lo Shabbat ogni sette giorni dopo aver lavorato i precedenti sei giorni, Dio chiede che la terra venga lavorata e coltivata per sei anni, ma che sia lasciata a riposo il settimo anno.

In seguito ai sette cicli di shemittah, il cinquantesimo anno (7 x 7 = 49, l’anno dopo il 49esimo anno, quindi il 50esimo), viene detto yovelor-il giubileo. Il cinquantesimo è un anno di riposo per la terra, e, oltre a questo, anche gli schiavi vengono liberati e tutte le proprietà tornano al proprietario originale. Ciò significa che quando qualcuno compra un appezzamento di terreno sa che sarà suo fino allo yovelor , quando poi tornerà al proprietario originale.

Nel Bechukotai (“le mie leggi”) viene detto agli Israeliti che, se seguiranno i comandamenti di Dio, avranno cibo a sufficienza, pioggia che nutrirà il loro raccolto, la pace e la sicurezza regneranno, sconfiggeranno gli eserciti nemici, e Dio sarà sempre con loro.

La porzione conclude con una serie di moniti: se il popolo non dovesse seguire i comandamenti di Dio verrà punito. Le parole della Torah ci ricordanno che, comunque vada, Dio sarà sempre con noi.

Ho grandi difficoltà a conciliarmi con la teologia presente in questa porzione di Torah: Dio ci ricompensa se i comandamenti vengono seguiti e ci punisce se le mitzvot non vengono seguite. Probabilmente per una società in divenire come quella degli Israeliti questa teologia paternale avrebbe funzionato. Sicuramente funzionava nel mantenere diligente e sotto controllo un popolo che era appena stato liberato dalla schiavitù.

Ovviamente una dottrina di questo genere presentata nella Torah è difficile da digerire per noi: i buoni vengono ricompensati e i cattivi vengono puniti, sono sicuro che tutti conosciamo brave persone che hanno sofferto terribilmente mentre i malvagi sembrano essere spesso coloro che vengono ricompensati. Quindi come possiamo interpretare i precetti presentati in questa porzione?

Il mio insegnante, mentore e amico, Rabbi Richard Levy (pace all’anima sua) affronta questo problema nel suo libro di preghere “Sulle Ali Dello Stupore.” Rabbi Levy affronta le parole nella Torah non da un punto di vista didattico ma da uno di amore e compassione. Egli scrive:

Se siamo capaci di udire le parole giunte dal Sinai,

Allora l’amore scorrerà da noi;

E serviremo tutto ciò che è sacro

Con tutto il nostro intelletto e tutta la nostra passione

Per tutta la nostra vita…

Ma se ignoriamo le parole giunte dal Sinai

E ci mettiamo al servizio di ciò che è comune e profano,

Divinizzando ciò che ci è comodo o il nostro potere,

Allora il lato sacro della vita ci lascerà,

Il nostro mondo diventarà inospitale.

Dobbiamo onorare le generazioni che ci hanno preceduto,

Mantenendo le loro promesse, per loro e per le generazioni che   verranno.

Levy ci dice che possiamo solo fare del nostro meglio, ascoltare le parole giunte dalla montagna e servire Dio come meglio possiamo. Dobbiamo ascoltare queste antiche parole e capire ciò che significano per noi,  applicate alle nostre vite e al nostro periodo storico.

Shavout-il momento in cui venne data la legge al popolo- è sempre più vicino e dobbiamo prenderci del tempo per ascoltare: ascoltare le parole giunte dal Sinai, riconoscere in cuor nostro i comandamenti, abbracciare il concetto che possiamo fare solo del nostro meglio, e con diligena insegnare tutto ciò alla prossima generazione.

Parashat Emor: Queste sono le ore e le stagioni 8 Maggio

Nella Parashat  Emor, i versi 23:1-44 nel Levitico descrivono le feste in termini di date e ore sacre nel calendario ebraico. La Torah descrive dettagliatamente le celebrazioni e commemorazioni: Shabbat, Rosh HaShanah, Yom Kippur, e le tre feste di Pesach, Shavuot, e Sukkot. Il tempo diventa sacro e nasce così il concetto di tempo sacro rispetto a quello secolare.

Anche se le feste vengono stabilite per Dio, non sono stabilite da Dio.Il Levitico 23:2 recita, "Ecco le feste dell’Eterno, che voi proclamerete come sante convocazioni, queste sono anche le Mie convocate stagioni.” In altre parole, noi umani diamo lo status di santo ad un giorno particolare e cosi facendo diventa sacro a Dio. Maimonide ci regala un commento soprendente in merito alla dichiarazione di queste date nel suo codice di leggi, Mishneh Torah. Riguardo alla santificazione del nuovo mese dice: "Una corte che santifica il mese, che sia per sbaglio che per coercizione, diventa santo e tutti hanno l’obbligo di fissare le feste il giorno in cui furono santificate...” In altre parole, se una festa viene stabilita, anche se per sbaglio, la comunità la deve comunque osservare il giorno in cui è stata stabilita. 

E se noi in quanto comunità milanese volessimo spostare il giorno di Shabbat? Supponiamo che il venerdi sera e il sabato non ci vadano bene e lo volessimo spostare al martedì sera e al mercoledì? Se i capi della comunità decidessero di fare così -secondo Maimonide e i teologi ebrei- ciò sarebbe possibile. Quindi ci troveremmo il martedì (o di persona o come facciamo ora su Zoom), la gente mostrebbe la challah preparate per l’occasione, canteremmo “L’cha dodi” e dichiareremmo che il martedì sera e il mercoledì sono Shabbat. Come ci sentiremmo? Sarebbe davvero Shabbat? 

Io non voglio provare questo esperimento-ma posso immaginare come ci sentiremmo. Inizialmente potrebbe essere divertente: Shabbat a metà settimana!! Ma finiremmo probabilmente per concludere che non ci sembrerebbe Shabbat. Chiediamoci il perché. 

Saremmo fuori sincronia con le altre comunità ebraiche a livello mondiale. Saremmo gli unici a cantare canzoni di Shabbat il martedi sera mentre il resto del mondo no. Quando celebriamo Shabbat il venerdi ed il sabato, quando ci sediamo per il seder, quando accendiamo le candele la prima sera di Chanukah, quando udiamo il suono dello shofar a Rosh HaShanah, immaginiamo come gli ebrei nel mondo stiano celebrando queste feste. La sera di Pesach, seduti ai nostri tavoli, vediamo ebrei in Italia, negli Stati Uniti, in Israele e anche in Sud America mentre intingono il prezzzemolo nell’acqua salata. Dati i tempi, le stagioni e i rituali ad essi assiocatei, riusciamo ad immaginare altri ebrei che festeggiano come noi. 

Questa immagine di una comunità ebraica è un concetto analizzato da Benedict Anderson nel suo libro “Comunità Immaginate” (1991). In questo volume, l’autore descrive come nazioni, stati e comunità s’immaginano parte di un popolo collegato spesso dalla cultura, dalla religione e dalla lingua. Anche se non conosciamo molti dei membri di questa comunità globale di ebrei, siamo legati a loro dal fatto che abbiamo in comune la cultura, il cibo, la lingua ed il calendario. 

Non vedo l’ora di vedervi questo prossimo venerdi su Zoom, non vedo l’ora di vedere la challah che avrete preparato e non vedo l’ora di immaginare milioni di ebrei illuminati dalla luce delle candele di Shabbat, assaporando il vino sabbatico e mostrando ad amici e parenti le bellissime challah che hanno preparato. Anche se al momento stiamo cantando e pregando dallo schermo di un computer, facciamo ancora parte di una forte comunità di ebrei che sta festeggiando insieme a noi.

Shabbat Acharei mot/Kedoshim 1 Maggio 2020

Ci sono cinque libri che compongono la Bibbia ebraica : Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Il libro del Levitico è al centro della Torah. Cosa troviamo al centro del Levitico? Una sezione di quest’ultimo fa parte della porzione di Torah di questa settimana, Kedoshim, detto anche “Il Codice Di Sacralità”


Il “Codice Di Sacralità” è cosi chiamato dato che presenta le leggi e gli obblighi secondo cui vivere una vita considerata sacra o santa. Sembra non aver fine, dato che copre la bellezza di dieci capitoli (Levitico 17-26). Questo codice include leggi che riguardano il sacrificio di animali, il mangiare, la pulizia, la condotta dei sacerdoti, come esprimersi e delle raccommandazioni sessuali. Il focus del codice è che il popolo d’Israele è un popolo a parte, dato che Dio ha scelto loro. Seguendo le leggi descritte nel Levitico, gli Israeliti possono considerarsi puri.


Il Codice di Sacralità è una visione idealizzata della vita ebraica e chiede ad ogni ebreo di ogni età e denominazione di elevarsi per reggiungere gli ideali del codice. Alcuni ebrei interpretano queste regole puramente a livello di rituale e di comportamento. Ad esempio, il mangiare kosher, osservare le severe regole riguardanti lo Shabbat e assicurarsi che i riti siano compiuti secondo le leggi e le ordinanze.
Altri ebrei vedono l’ebraismo come una religione dedicata alla giustiza e all’etica. Questi ebrei sostengono la giustizia sociale, scrivono a chi governa loro, e sono parte attiva di dimostrazioni e proteste.
Ma nessuno di questi due approcci rappresenta davvero l’essenza del Codice Di Sacralità. Il codice esprime un ebraismo che incamera sia il discorso ritualistico sia quello etico. Il comportamento ritualistico è sostenuto da un comportamento etico e quest’ultimo è sostenuto da un comportamento ritualistico. Questo è il nostro obbiettivo odierno: vivere le nostre vite in maniera sacra sia a livello ritualistico che etico. Un rito senza etica diventa crudele e l’etica senza rituale risulta vacuo. La Torah è complessa e il codice non facilita le cose. La serie di leggi e regolamenti contenuti nei successivi capitoli è complessa e a volte difficile da comprendere e non viene data nessuna giustificazione tranne : “Sarai sacro perchè Io, il Signore, tuo Dio, sono sacro.”


E’ una bella sfida. Un negoziante ebraico non può giustamente osservare tutte le leggi dello Shabbat e rifiutarsi di pagare i suoi commessi per tempo, e un attivista sociale ebreo non può protestare per la pace in Israele e poi non capire perché non sia appropriata organizzare un incontro di Sabato pomeriggio.

Come bilanciate i lati ritualistici ed etici nella vostra vita? Cosa guida il vostro comportamento etico? Cosa ispira le vostre azioni ritualistiche? Come ottenete la sacralità?


Shabbat shalom.

Venerdì, 17 Aprile: Shmini – Levitico 9:1-11:47; Numeri 19:1-19:22

Riassunto: Nella porzione di questa settimana Aronne ed i suoi figli seguono le istruzioni di Mosè nell’offrire sacrifici a Dio, nella speranza che quest’ultimo perdoni gli Israeliti. Assistiamo ad un momento tragico, in cui Nadav e Avihu, due dei figli di Aronne, offrono  un “fuoco strano davanti a Dio che Egli non aveva ordinato”. Dio punisce questo atto, uccidendoli entrambi. A Mosè, Aronne ed ai figli sopravvissuti non viene permesso di piangere, mentre il resto del popolo ha il dovere di piangere e offrire sacrifici presso il tempio. Infine vengono emesse leggi per ciò che riguarda animali, pesci, uccelli ed insetti puri ed impuri.

Lezione: Leggendo la Torah, I nostri saggi prestano particolare attenzione ad ogni singola parola.  Nella porzione di questa settimana, notiamo una strana ripetizione. Per potere diventare sacerdote, Aronne ha il dovere di offrire due sacrifici, il primo per sé stesso ed il popolo, ed il secondo solo per il popolo. Che senso ha il secondo sacrificio, visto che il primo include sia Aronne che il popolo?

Maimonide, il grande commentatore medioevale ci insegna che: “solo gli innocenti possono espiare per i colpevoli.” Col primo sacrificio Aronne espia per sé stesso e per il popolo. Solo dopo essersi liberato dal suo peccato Aronne potrà espiare per il popolo. Abraham ibn Ezra, un altro commentatore medioevale scrive: “Nessuno può espiare per un altro se non prima libero dei propri peccati.”

Chi ci governa deve essere un esempio per tutti noi, elevandosi, in modo che noi possiamo impegnarci ad essere come loro. Il saper governare va oltre le capacità, l’ingegno e l’esperienza. Secondo la porzione di questa settimana, il saper governare si traduce nell’elevare gli ideali del popolo. Vedendo i diversi capi di stato di oggi, vediamo che molti di loro stanno fallendo in questo senso. Aronne fu il primo vero capo ad impegnarsi ad incorporare i valori che insegnava. Solo una volta libero dal peccato sarebbe stato capace di servire il suo popolo.

Con la semplice sottolineatura di una ripetizione nel testo, i nostri commentatori ci insegnano che la vera sfida per chi ci governa è quello di vivere secondo gli standard più alti della nostra tradizione.

Venerdì, 10 Aprile: Pesach – Levitico: 22:26-23:44; Numeri 28:16-25

E’ adorabile vedere i bambini imparare a contare.  Puoi vedere la frustrazione nei loro occhi mentre cercano di azzeccare ogni numero e puoi vedere la gioia nei loro volti quando arrivano a 10!  Devo essere sincero, non sono bravo in matematica. Oltre al conteggio, mi trovo in difficoltà, eppure noi ebrei abbiamo il sacro obbligo di contare!

Dalla seconda sera di Pesach, iniziamo a contare l’Omer, un ricordo serale dell’arrivo di Shavuot – mancono solo 49 giorni.  Ai tempi dell’antico tempio, l’Omer era un’offerta di orzo, che veniva data puntualmente fino al giorno di Shavuot. In seguito all distruzione del tempio, questa offerta è rappresentata dal conteggio-un’offerta fatta di parole.

Una spiegazione è che il conteggio mostra un diretto collegamento fra Pesach e Shavuot (il giorno sacro seguente in cui festeggiamo il dono della Torah presso il monte Sinai). L’esodo dall’Egitto ci donò la libertà in senso fisico, eppure fu solo l’inizio di un processo che ci avrebbe poi donato la libertà spirituale che avremmo trovato ai piedi del Sinai. Una seconda spiegazione è che la nuova nazione che lasciò l’Egitto aveva bisogno di imparare cosa volesse dire essere libera. Solo dopo aver ricevuto la Torah presso il Sinai, il popolo riuscì a comprendere che essere liberi significa un rapporto con Dio e una responsabilità.

La matematica è importante per gli ebrei, contiamo le 49 sere tra Pesach e Shavuot. Le nostre parole sono la nostra offerta. Contiamo le benedizioni della libertà, del rapporto con Dio e della responsabilità.  Anche oggi, il nostro conteggio ci ricorda che siamo ancora in viaggio verso il Sinai, un viaggio che porterà alla santità.

Venerdì 3 Aprile : Tzav – Shabbat HaGadol: Levitico 6:1-8:36

Riassunto:  Molto simile alla parasha precedente, questa porzione tratta delle istruzioni date ai sacerdoti su come preparare i sacrifici all’interno del tempio. La fine della porzione si focalizza sulla gestione e consacrazione dell’altare e dei sacerdoti.

Lezione:  Il Levitico è anche conosciuto con il nome “Torat Hakohanim – “La Torah Dei Sacerdoti”.  Il punto focale del Levitico è la vita dei sacerdoti e le loro funzioni presso il tempio. Allo stesso tempo, la Torah insegna che tutto il popolo ebraico è composto da sacerdoti, ovvero ognuno di noi ha il potenziale per vivere una vita secondo i sacramenti. La porzione di questa settimana può farci da guida nella nostra missione di portare sacralità nel nostro quotidiano e nel mondo.

I Kohanim dell’antico tempio ricevevano l’investitura tramite una elaborata cerimonia. Si purificavano, indossavano vesti speciali e venivano unti con un olio speciale in modo che potessero offrire un sacrificio altrettanto speciale presso l’altare.  E poi “Una volta offerto il sacrifico…” Mosé raccolse del sangue di ariete e lo fece goccialare sull’orecchio destro di Aronne, sul pollice della sua mano destra, e sul alluce del suo piede destro.”  Mosè ripeté il medesimo rituale anche con i figli di Aronne. Che rito strano! Perché veniva fatto gocciolare del sangue sul pollice, alluce e orecchio destro?

Philo , un antico commentatore, scrisse : “ coloro che vengono consacrati devono essere puri di parola, di azioni e di vita; perchè le parole vengono giudicate dall’orecchio, la mano simboleggia l’agire, ed il piede rappresenta il peregrinare della vita.” Philo trova un significato in ognuno delle parti corporee a seconda di come le utilizziamo.

Orecchio, mano e piede, simboleggiano la totalità del nostro corpo. Tramite le orecchie vengono udite le nostre parole, il che ci ricorda che quello che diciamo fa la differenza. Tramite le mani tocchiamo gli altri. Le nostre azioni sono importanti e hanno un impatto enorme sul nostro mondo. Infine, i nostri piedi ci ricordano che non possiamo solo parlare di sacralità, dobbiamo perseguire una vita sacra. La nostra porzione insegna che con le nostre orecchie, le nostre mani ed i nostri piedi, come gli antichi sacerdoti, abbiamo la responsabilità di riempire le nostre parole, le nostre azioni e le nostre vite di senso e significato.

Shabbat Vayikra 28 Marzo, 2020

Questa settimana iniziamo il terzo dei cinque libri della Torah: Levitico o in ebraico, Vayikra. Nelle prossime settimane leggeremo più volte del sistema di sacrifici sviluppati dagli Israeliti ed effettuati all’interno del tavernacolo portatile. Ci sono delle regole per ciò che concerne le offerte da parte di chi ha commesso un peccato, di chi vuole esprimere gratitudine ecc. Quanti piccioni vanno sacrificati, quante capre, come i sacerdoti gestivano il sangue, le carcasse ecc...

Ai tempi in cui fui cantore al Temple Isaiah a Los Angeles ebbi la fortuna di lavorare con migliaia-si letteralmente migliaia - di studenti Bar e Bat Mitzvah. Quegli studenti B’nai Mitzvah  che dovevano leggere porzioni dal Levitico si trovavano spesso in difficilotà a livello di “d’var torah”, o quando dovevano preparare un discorso in questo senso. Il concetto di un sistema di venerazione in cui venivano sacrificati animali per venerare Dio risultava essere remoto, distante e spesso ripugnante per molti studenti.

Nonostante il fatto che l’uccisione di animali, il loro dissanguamento e arsione andasse oltre la loro comprensione (e devo ammettere va anche oltre la mia comprensione), il concetto di sacrificio era un concetto che praticamente tutti gli studenti potevano capire.

Molto spesso, gli studenti di B’nai mitzvah interpretavano il discorso di sacrifico come una metafora per lo sport: quando un giocatore si “sacrifica” per il bene della squadra o i sacrifici necessari per eccellere in una disciplina sportiva che sia calcio, basket o tennis : ore e ore di allenamento, magari senza poter guardare la televisione, dolori fisici dalla preparazione atletica, e forse una vita sociale limitata.

Se oggi mi trovassi a lavorare con studenti Bar e Bat Mitzvah,  immagino che il loro concetto di sacrificio sarebbe diverso. Nella nostra lotta globale contro il  Coronavirus ,  vi sono molti che si stanno sacrificando : dottori, infermieri, tecnici medici, terapisti respiratori e conducenti di ambulanze. Le immagini di medici collassati a terra, troppo esausti per reggersi in piedi le abbiamo viste tutti. Questi sono eroi, stanno facendo diversi sacrifici: non dormono, sono lontani dalle loro famiglie e mettono le proprie vite a repentaglio. Ci sono altri che stanno facendo grandi sacrifici: lo staff nei supermercati che ci danno la certezza di avere cibo, i panettieri che rimangono aperti, le donne e gli uomini che stanno rischiando tutto per far si che i nostri pacchi vengano consegnati ai nostri portoni.

In ebraico, la parola sacrificio si traduce in “korban”- la radice della parola (koof, resh, nun) significa “portare vicino”.  Stranamente ed in maniera tragica, l’attuale condizione di malattia e sacrifici ci ha portati tutti più vicini. Stiamo comunicando di più coi nostri vicini e le nostre famiglie. Abbiamo passato diverse ore in chiamate via zoom o skype in modo da poter comunicare con i nostri amici o i nostri colleghi nel mondo. Ci siamo inoltre avvicinati a Dio, tramite diversi mezzi: pregando, cantando, meditando o tramite una poesia.

Con la lettura del Levitico - la cui enfasi è sacrificio e avvicinarsi a Dio - che le nostre preghiere possano giungere a Dio e portare salute e guarigione per tutti.

Shabbat Shalom

Cantor Evan Kent

Vayakhel- Pekude. Porzione di Torah 20 Marzo

            La porzione di Torah di questa settimana continua con la descrizione del tabernacolo - il santuario portatile che gli Israeliti porteranno con loro nella loro traversata del deserto. L’architetto responsabile per il santuario si chiamava Bezalel- che in ebraico significa “nell’ombra di Dio”.

            I nostri nomi spesso dicono molto sulle persone che siamo. Bezalel era letteralmente talmente vicino a Dio da camminare nella sua ombra. Leggendo la porzione di questa settima, pensai, cosa avrei provato a camminare così vicino a Dio - sentire la presenza di Dio in maniera così intensa, essere così vicino da poterlo toccare.

Mi resi poi conto che io cammino nell’ombra di Dio ogni giorno. Tutti noi camminiamo nell’ombra di Dio tutti i giorni. Mi sveglio, ringrazio Dio - e sì,  lo ringrazio anche quando vado in palestra o a correre.

Oggi viviamo in un mondo difficile: migliaia di persone sono malate e migliaia di persone muoiono. Viviamo in un mondo in cui i nostri amici sono in quarantena, le città sono chiuse e anche le frontiere. Tutto questo mi fa pensare, “Dov’è l’ombra di Dio?”

E poi mi rendo conto che Dio è in quegli eroici dottori ed infermieri che si prendono cura dei malati. Dio è il vicino a chi porta una cesta di cibo ad una persona anziana che vive da sola nel suo stesso palazzo. Dio è con quei ricercatori che faticano ora dopo ora a cercare un vaccino.

E Dio si trova nei boccioli sugli alberi a Gerusalemme, perché gli alberi non tardano a fiorire per via di un virus.

La preghiera è spesso il mezzo che utilizzo per mettermi in contatto con il Signore. A volte, quando prego, mi sembra di parlare telefonicamente con problemi di linea con un parente lontano. Altre volte rimango stupito dalla perfezione della connessione. Anche quelle volte in cui trovo “occupato” o parte la segreteria telefonica, io continuo a chiamare. Giorno dopo giorno. Anno dopo anno

Nella nostra battaglia col Coronavirus, volevo condividere con voi una preghiera scritta dalla mia collega, Rabbi Naomi Levy. Leggetela, leggetela ad un amico, condividetela con i vostri cari.

Una Preghiera Di Speranza In Un Periodo Di Pandemia
Di Rabbi Naomi Levy

Abbiamo paura, Dio,
Siamo preoccupati per i nostri cari,
Preoccupati per il mondo.
Indifesi e confusi,
Guardiamo a te
Cercando conforto, fede e speranza.

Insegnaci, Dio, a trasformare il panico in pazienza,
E la nostra paura in atti di gentilezza e di sostegno.
I forti devono prendersi cura dei deboli,
I giovani devono prendersi cura degli anziani.
Aiuta ognuno di noi a fare la nostra parte nel fermare la propagazione di questo virus.

Dai forza e coraggio ai dottori ed alle infermiere
Che combattono in prima linea,
Fortifica la loro capacità di guarire.
Dona saggezza e ingegno agli scienziati
Che lavorano giorno e notte in tutto il mondo per trovare una cura.
Benedici il loro lavoro, Dio.
Dai la saggezza e coraggio a chi ci governa
Di agire in maniera saggia e veloce.
Aiutaci, Dio, a farci vedere che siamo un unico mondo,
Un popolo
Che unito supererà questa pandemia.

Donaci salute, Dio,
Veglia su di noi,
Donaci il tuo amore,
Benedicici con la tua luce salvifica.
Ascoltaci Dio

Curaci, Dio
Amen.

Shabbat Shalom

Cantor Evan Kent

13 Marzo: Shabbat Ki Tisa Esodo 30:11-34:35

Riassunto: Questa eccitante porzione di Torah inizia con un censimento degli Israeliti da parte di Mosè– raccogliendo mezzo shekel da ogni persona. Agli Israeliti viene poi chiesto di mantenere fede allo Shabbat in quanto simbolo del nostro patto con Dio. In seguito, il popolo chiede ad Aronne di forgiare un vitello d’oro; Mosè ritorna in cima al Sinai una seconda volta e torna radioso con una nuova serie di tavole. 

Lezione: Dopo essere stati liberati dalla schiavitù ed aver assistito al miracolo del Mar Rosso, si ribellano e forgiano un idolo. Perché? Cosa portò gli Israeliti a forgiare un vitello d’oro?

Nel proprio cuore, il popolo non aveva lasciato né l’Egitto né la schiavitù. Sono trascorsi quaranta giorni e quaranta notti da quando Mosè ha lasciato gli Israeliti per tornare in cima al Sinai. La gente si dispera. Più passa il tempo senza Mosé, più la disperazione s’insedia. Colti dal dubbio e dalla disperazione, la gente torna alle proprie radici d’idolatria e chiede ad Aronne di forgiare per loro un simbolo tangibile della presenza di Dio. Sappiamo cosa succede dopo…nasce il vitello d’oro. 

Senza Mosè, la gente diventa ansiosa. Nella terra d’Egitto, vi erano state molteplici manifestazioni di Dio. Può darsi che gli Israeliti vedessero Mosé come il loro collegamento fisico con Dio. Quando Mosé scomparve sulla montagna, la gente si mise alla ricerca di un rimpiazzo. La gente dubitava di poter mai sentire la presenza di Dio senza Mosé. Avevano torto. Non era Mosé a garantire la presenza di Dio tra di loro. Il popolo stava solo iniziando a comprendere che Dio è con noi sempre ed in ogni luogo. 

Troppo spesso sentiamo la mancanza di Dio nelle nostre vite. La natura intangibile di Dio rende difficile sentire la sua presenza in tempi di difficoltà o di disperazione. Può quindi darsi che il vitello d’oro fosse semplicemente una richiesta di una tangibile conferma dell’esistenza di Dio, nata dalla insicurezza di un popolo che si sentiva solo ed abbandonato.

Gli Israeliti non erano soli nel loro bisogno di conoscere un Dio intangibile. Anche Mosé soffriva, chiese di vedere Dio. Quest’ultimo cercò di soddisfare la richiesta di Mosé, anche se in modo parziale. A Mosé viene chiesto di nascondersi in un’insenatura nella roccia in modo che Dio potesse passargli davanti dando la possibilità a Mosé di vederlo di spalle. Questo evento avrebbe rafforzato la convinzione di Mosè di star compiendo il volere di Dio. 

Come gli Israeliti, anche noi spesso facciamo fatica a sentire la presenza di Dio nelle nostre vite. Quando ci apriamo alle benedizioni presenti nelle nostre vite e nel nostro mondo, quando apriamo i nostri cuori alla profondità delle emozioni, quando permettiamo alle nostre anime di farsi toccare dai miracoli quotidiani che ci circondano, ecco che lì possiamo avvertire, anche senza una manifestazione fisica, che la presenza di Dio è sempre vicina.

Shabbat Shalom

Shabbat Tetzaveh Esodo 27:20-30-10, 6 Marzo 2020

Riassunto: La porzione di questa settimana continua con le istruzioni per costruire il tabernacolo per il viaggio nel deserto. Grande attenzione viene posta su Aronne ed i suoi figli, i sacerdoti dell’antico tempio. La porzione inizia con la descrizione dei vestiti che questi dovrebbero indossare e continua con l’investitura a sacerdote di Aronne e dei suoi figli.

Lezione: Mi ricordo che da bambino ero preoccupato che l’eterna luce nella nostra sinagoga potesse estinguersi! Chiedevo a mio padre (il rabbino): “Se la lampadina dovesse fulminarsi, Dio lascerà il tempio?”. Quando costruimmo il nostro nuovo santuario a Tarzana, gli architetti ci proposero una luce eterna a base di energia solare. Anche in questo caso rimasi preoccupato che se ci fosse stata una giornata nuvolosa...e la luce si fosse spenta Dio avrebbe lasciato il santuario?

Anche se puramente simbolica, la Ner Tamid/luce eterna, rappresenta qualcosa di potente. Anche da bambino la percepivo come un simbolo significativo e potente della presenza di Dio nella sinagoga e nelle nostre vite.

Nella porzione di questa settimana troviamo il primo riferimento biblico alla luce e con esso le istruzioni per accenderla e mantenerla (Esodo 27:20-21). Ciò che è chiaro in questa porzione è che questa luce non esiste per motivi pratici. La Ner Tamid è sacra.  Quando vediamo la luce eterna ricordiamo la presenza di Dio nella sinagoga e nelle nostre vite.

C’è un commento rabbinico bellissimo all’interno dello Sh’mot Rabbah : “Perché, Proverbi 6:23 dice, la mitzvah è una luce?”. Perché, proprio come una luce non si affievolisce quando dà origine ad un’altra fiamma, colui che compie una mitzvah non si riduce in ciò che possiede” (36:3). La luce eterna nella nostra sinagoga brilla in tutti noi, un potere infinito, condivisibile, e fonte di bontà che dobbiamo portare nel mondo. La luce che brilla costantemente nelle nostre sinagoghe ci ricorda che abbiamo l’obbligo di portare la luce in un mondo oscuro. In un altro commento rabbinico, Itturei Torah, leggiamo: “Ogni ebreo deve accendere la Ner Tamid nel suo cuore”. 

Da bambino guardavo la Ner Tamid con la preoccupazione che potesse spegnersi e che quindi Dio ci potesse lasciare. Ora mi rendo conto che la preoccupazione si estende anche alla luce nei nostri cuori. La Ner Tamid può agire da collante tra di noi, dall’antico tabernacolo, alle sinagoghe, al nostro mondo. La luce eterna nella nostra sinagoga ci ricorda che ognuno di noi è responsabile per la propria luce interiore, una fiamma persistente, con una capacità illimitata di accendere altre fiamme e di essere condivisa, e che ci invita a portare il concetto di mitzvot nel mondo.

Shabbat Shalom

Rabbi Don Goor

Shabbat Terumah 28 Febbraio 2020

Nella porzione di Torah di questa settimana, Terumah, Dio letteralmente dona a Mosé ed agli Israeliti la planimetria per costruire il “mishkan”- il santuario portatile con cui viaggeranno nel deserto. I dettagli sono molto precisi: le stoffe da utilizzare, quale legno da impiegare, addirittura anche le spezie che dovranno essere utilizzate per i sacrifici.

“In questo santuario,” dice Dio, “gli Israeliti mi porteranno dei doni.”

I doni possono essere di qualsiasi tipo e da parte di chiunque abbia il desiderio di donare qualcosa. Dio prosegue: “E che il popolo mi costruisca questo santuario in modo che io possa soggiornare in esso.

Il santuario nel deserto non fu semplicemente una tenda e l’arca non fu semplicemente una scatola di legno. Il mishkan fu creato come luogo di grande bellezza e dignità. Doveva essere un luogo in cui lo spirito di Dio poteva albergare e l’arca talmente sacra da poter contenere la “testimonianza” di Dio - spesso considerati essere i dieci comandamenti.

Io ho pregato e cantato in luoghi sacri grandi e piccoli, riccamente decorati e anche molto semplici. Ho cantato in cattedrali e sinagoghe in tutto il mondo su diversi continenti.  Ciò nonostante la presenza di Dio non era data dall’architettura, dall’organo, dalle scale in marmo o dalle foglie d’oro. La presenza di Dio era data dalla comunità che occupava lo spazio in quel momento.

Uno dei luoghi maggiormente pieni di spiritualità, che ricordo sia come luogo di preghiera che quando ho avuto il piacere di officiarvi una funzione, fu il santuario esterno al Camp Hess Kramer a Malibu, in California. Fu dove ho lavorato io, ci ha lavorato Rabbi Goor e dove ci siamo sposati. Era una cattedrale composta da semplici panchine in legno, una vetrata, ed un’arca fatta di legno di sequoia costruita dai campeggiatori. Il soffitto di questo spazio all’aperto era costituito da alberi di eucalipto, sicomoro ed acero.

Quando penso a questo luogo, sento le voci di migliaia di campeggiatori, vestiti di bianco, che con l’inizio di Shabbat cantano L’cha Dodi. Riesco ancora a vedere questi stessi campeggiatori che si stringono a vicenda ondeggiando sulle note di  “Shalom Rav” e “Ose Shalom.”

L’anno scorso, incendi devastarono le colline di Malibu e distrussero gran parte di Camp Hess Kramer. Le pergamene di torah furono messe in salvo, ma gran parte di questo amato santuario fu ridotto in cenere.

Ma quelle famose voci non si zittirono – venne trovato un luogo temporaneo ed ancora una volta, si poté tornare a festeggiare lo Shabbat. Nel futuro prossimo, quel luogo verrà ricostruito e quelle voci echeggeranno nuovamente tra i sicomori.

I santuari sono spazi, ma le comunità sono fatte di persone.

A Beth Shalom, spesso preghiamo all’interno di un semplice albergo in una sala conferenze, temporaneamente convertita per festeggiare lo Shabbat o altre feste di grande importanza. Ciò non ostacola le preghiere a raggiungere i cieli o il fatto che l’amore per la nostra comunità non sia reale o tangibile.

 La famosa poetessa americana Emily Dickinson scrisse:

 Alcuni osservano il Dì di festa andando in chiesa –

io lo osservo, stando a casa –
con un bobolink per corista –
e un frutteto, per cupola –

Alcuni osservano la domenica in paramenti –
io mi metto solo le ali –
e anziché suonare la campana per la funzione
il nostro piccolo sacrestano - canta.

Dio predica, è un pastore di fama –
e il sermone non è mai lungo -
così invece di arrivare in Cielo, alla fine –
ci vado, per tutto il tempo.

La poesia della Dickinson ci ricorda che anche un semplice frutteto può trasformarsi in cattedrale o santuario e che la musica più bella non deve necessariamente nascere da un organo o dalle voci di un coro-può nascere dalla natura stessa.

Questo Shabbat- ovunque voi siate- vi auguro di trovare la presenza di Dio, un senso di comunità, ed un momento di rigenerazione personale.

 Shabbat Shalom.

Cantor Evan Kent

Shabbat Mishpatim 21 Febbraio 2020

Sono cresciuto negli Stati Uniti e devo ammettere che da adolescente ero televisione-dipendente. Mattina, pomeriggio e sera, guardavo praticamente qualsiasi programma.

A quei tempi dovevi sorbirti tutte le pubblicità e non potevi saltarle. Una delle pubblicità migliori e memorabili di allora era quella per Alka-Seltzer - un prodotto che ti aiutava con problemi di digestione e bruciori di stomaco. Nella pubblicità, l’attore viene incoraggiato da una voce fuori campo a provare diversi cibi ad un buffet. “Provalo, ti piacerà” ripete la voce. L’attore mangia di tutto e finisce per avere un’indigestione.

Quindi cosa ha a che fare Alka-Seltzer con la porzione di Torah di questa settimana?

La porzione di questa settimana prosegue con l’elenco di leggi e regole, iniziato nella porzione di settimana scorsa (Yitro).  Settimana scorsa, Mosé aveva presentato i dieci comandamenti agli Israeliti e nella porzione di questa settimana quest’ultimo condivide regole e leggi sugli schiavi, le punizioni per determinati crimini, leggi su come gli Israeliti possono rimanere un popolo sacro e alcune regole alimentari.

Oltre a questo, viene introdotto il concetto dell’anno sabbatico, ed insieme a questo le regole per lo Shalosh R’galim (Sukkot, Pesach, Shavuot).

Tutte queste regole sono nuove per gli Israeliti, Dio sta dando a Mosè una planimetria su come creare una società giusta e compassionevole. Posso solo immaginare la trepidazione degli Israeliti nell’adottare queste regole e leggi. Ma quando queste vengono comunicate, la loro risposta è “Na’aseh v’nishmah...” (Faremo e capiremo...)

Proprio come la pubblicità per Alka Seltzer: “Provalo, ti piacerà!” Finché non si provano queste leggi e regole-come si possono capire? Come fai a sapere se ti piacciono gli asparagi se non li provi? (Ho provato le barbabietole più volte e non mi piacciono!)

Nell’undicesimo secolo, il filosofo Ibn Ezra disse che molte delle leggi illustrate in questa porzione sono incentrate sul come trattare i membri della nostra società che sono più vulnerabili: schiavi, minorenni, stranieri e coloro che hanno bisogno di soldi.

Ibn Ezra vede lo Shabbat e le feste sacre allo stesso modo. Vede gli Israeliti come un popolo il cui sistema di credenze si è indebolito a causa di influenze esterne. Conseguentemente, le severe leggi di Shabbat e di Chagim sono presentate come un modo per mantenere intatto lo stile di vita ebraico e la sua identità.

Diversi secoli dopo, uno dei primi autori sionisti, Ahad HaAm, dichiarò: “Più Israele osserva lo Shabbat, più lo Shabbat mantiene intatta Israele.” Le sue parole ricordano molto quelle di Ibn Ezra.

Si può dire lo stesso per ciò che riguarda il presente? Lo Shabbat è parte integrante delle vostre vite? Osservate Shabbat il meglio possible? Come potreste migliorare il modo in cui lo osservate in modo da riempirlo di spirito e di significato?

Se attualmente non osservate lo Shabbat, perché non cominciare con il benedire le candele…o comprando challah. O addirittura preparare la challah.  Vi sono diverse risorse online che vi possono aiutare nella vostra sfida di “provalo, ti piacerà”. Provate lo Shabbat, anche se è un’esperienza “virtuale”.

Ricordatevi la pubblicità per Alka-Seltzer , “Provalo, ti piacerà…”  Provate Shabbat- vi piacerà sicuramente.

Shabbat Shalom

Cantor Evan Kent

Parashat Yitro per Shabbat 14 Febbraio

Il titolo della porzione di Torah di questa settimana prende il nome da Jetro ("Yitro" in ebraico), il suocero di Mosé.

La porzione si apre con Jetro, il quale sta portando sua figlia (moglie di Mosé) ed i suoi due nipoti da Mosè nel deserto, in seguito all’esodo dall’Egitto da parte degli Israeliti. Mosè racconta loro tutte le cose meravigliose che sono accadute agli Israeliti dalla loro fuga. La risposta di Jetro è sotto forma di un ringraziamento a Dio ed un banchetto per Mosé, Aronne ed i veterani tra gli Israeliti. Jetro osserva mentre Mosè passa le sue giornate a risolvere dispute fra gli Israeliti e gli consiglia di non portare da solo questo fardello, ma di delegare ad altri la soluzione delle questioni meno difficili. 

Mosè accetta il consiglia. Jetro torna a casa e così ha inizio il capitolo successivo nella storia degli Israeliti: Sinai.

Con il sorgere della terza nuova luna in seguito all’Esodo dall’Egitto, gli Israeliti giungono nella terra selvaggia del Sinai e organizzano un accampamento ai piedi della montagna. Mosè, a nome di Dio, informa la gente che l’obbedienza degli insegnamenti di Dio farà di loro un “regno di sacerdoti ed una nazione sacra” agli occhi di Dio. (Esodo 19:6). 

Gli Israeliti accettano e cosi nasce una nazione. Tre giorni dopo in una nube di fuoco e fumo, Dio si manifesta al popolo e proclama i dieci comandamenti. Terrorizzati da questo evento, gli Israeliti chiedono a Mosè di intervenire e di parlare con Dio a nome loro da allora in poi. Dio comanda a Mosè di ricordare al popolo di averlo sentito parlare e, pertanto, di non adorare idoli.

Questa porzione della Torah è una di sei che porta il nome di una persona (Jetro) ed è l’unica porzione all’interno del libro dell’Esodo che ha questa caratteristica.

Leggere i dieci comandamenti o ascoltarli mentre li recitiamo in sinagoga di Shabbat ci porta indietro di migliaia di anni, ai tempi vissuti presso il monte Sinai. E proprio come Mosè, che condivise queste sacre parole con gli Israeliti così tante generazioni fa, ogni nuova generazione le riascolta con nuove orecchie. 

Ci auguriamo durante questo Shabbat Yitro che:

Come Mosè, ci possa essere sempre un messaggio di fede e di verità sulle nostre labbra. 

Che si possa noi essere benedetti con il coraggio di condurre altri sulla buona strada come fece Mosè.

Che si possa noi essere benedetti da una grande saggezza e una ferma fede come lo fu Mosè.

Che si possa noi essere come Aronne - ovvero dare sostegno a coloro che ci circondano che potrebbero avere bisogno della nostra guida e del nostro affetto. 

Che si possa essere come Aronne e parlare per coloro che non possono farlo.

Che si possa dare voce a coloro che sono stati zittiti per varie cause: dalla gravità della povertà, dal trovarsi senza una casa, dalla debolezza causata da una malattia o dalla fame. 

Che si possa essere noi come Miriam ed accogliere le benedizioni di tutti i giorni con una danza nell’anima ed una canzone sulle nostre labbra.

Shabbat Shalom

Cantor Evan Kent

Parasha Beshalach 8 Febbraio 2020

Nella porzione di Torah di questa settimana (Beshalach) gli Israeliti, ora liberi, fuggono dall’Egitto con un iracondo faraone alle costole. Sulle sponde del Mar Rosso, gli Israeliti osservano timorosi i carri del faraone che si avvicinano sempre più. Mosè alza il suo bastone e le acque del mare si dividono. Gli Israeliti esultano cantando “La Canzone Del Mare” (Shirat HaYam). La parole di questa canzone sono incluse anche nel verso della preghiera che recitiamo durante la mattina e il pomeriggio: Michamocha ba-eilim Adona (Chi è come te, Adonai?). Secondo il Midrash, la Canzone Del Mare era una canzone speciale, un tipo di canzone riservata particolarmente a quel momento in cui il Mar Rosso fu diviso.


La Torah ci dice (Esodo 15:1-2) Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: «Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere. Mia forza e mio canto è il Signore, Egli mi ha salvato. È il mio Dio e lo voglio lodare, è il Dio di mio padre. Ma più tardi nella porzione, la Torah ci dice (Esodo 15:20121): Allora Miriam, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani e si misero a danzare. Maria fece loro cantare il ritornello: «Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!». Il testo quindi ci dice che sia Mosé che Miriam cantarono, e secondo la Torah cantarono canzoni molto simili. Il commentatore francese Rashi si chiede se ci fossero differenze fra ciò che cantò Mosé e ciò che cantò Miriam. Dice: Mosè cantò la canzone per gli uomini- lui l’avrebbe cantata per primo e poi gli altri l’avrebbero ripetuta- e Miriam cantò la canzone per le donne (e loro l’avrebbero poi ripetuta). Quindi anche se entrambi cantarono canzoni simili, la canzone di Miriam è per le donne e quella di Mosè è per gli uomini, almeno secondo il commento. Pensateci: Pensate ad un momento in cui avete espresso gratitudine, sollievo o gioia per un miracolo avvenuto. Come esprimete spontaneamente la gratitudine? Avete mai avuto dei momenti stile “Mar Rosso” nel corso della vostra vita? Quali sono i “miracoli” che fanno parte della vostra vita? Quando questi “miracoli” avvengono, avete la tendenza a ringraziare Dio? Esprimete a lui gratitudine in qualche modo? Che tipo di musica esprime meglio la vostra gioia? Mosé e Miriam inziarono la loro canzone in maniera quasi identica. Perchè gli uomini e le donne cantarono separatamente? Che messaggio potrebbe dare tutto questo alla società contemporanea?
Shabbat ShalomCantor Evan Kent

Shabbat Bo – Esodo 1 Febbraio 2020

31 Gennaio – Bo – Esodo 10:1 – Esodo 13:16

Riassunto : Siamo ancora nel pieno della narrazione che porterà alla liberazione degli Israeliti dall’Egitto. Vi sono due piaghe– locuste e oscurità. Vengono introdotte le regole della Pasqua, che dovremmo seguire di generazione in generazione. Infine leggiamo della piaga finale, la morte del primogenito. Gli Israeliti lasciano l’Egitto in tale fretta che il pane non ha tempo di lievitare.

Lezione: Il ricordo è una cosa difficile. Quando perdiamo la memoria, perdiamo la nostra identità. Il ricordo è un tema ricorrente nella Torah. Nella porzione di questa settimana vi è grande enfasi sul ricordo, sul mantenere viva la storia della liberazione del nostro popolo, cosa che facciamo ogni anno al Seder di Pesach. Ogni Kiddush di ogni Shabbat e durante ogni festa ci viene ricordato che ogni occasione dovrebbe essere osservata in quanto testimonianza dell’esodo dall’Egitto.
Uno dei motive per cui compiamo i riti…il Kiddush ogni settimana durante e il Seder ogni anno, è un monito a ricordare. E’ bello passare del tempo con amici e parenti, ma allo stesso tempo è importante ricordare la storia del nostro popolo, rivisitare i miracoli della nostra storia. Un altro motivo per ricordare è allargare il nostro punto di vista oltre la nostra storia personale. Pesach ci ricorda che, mentre noi siamo liberi, c’è gente in questo mondo che ancora non lo è. Il nostro ricordo collettivo è un richiamo ad agire in modo che tutti possano essere liberi.

Si, il ricordo è una cosa difficile. Mentre ci viene ordinato di ricordare, ci viene anche consigliato di dimenticare. Quando Giuseppe incontra nuovamente i suoi fratelli (i quali lo avevano venduto come schiavo), egli mette da parte il dolore del suo passato e li perdona. Siamo un popolo stupefacente– ricordiamo così da poter migliorare il nostro mondo. Dimentichiamo in modo da poter proseguire il nostro cammino di vita senza risentimenti o rancori. La porzione di questa settimana ci ordina di dimenticare il male arrecatoci e di ricordare il bene e di impegnarci a portare il bene nel mondo.

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Shabbat Vaera 25 Gennaio 2020

24 Gennaio – Vaera – Esodo 6:2 – Esodo 9::35

Riassunto: Ancora una volta Dio si presenta a Mosè con il suo nome impossibile da conoscere. Dio promette libertà per il popolo israelita. Mosè ed Aronne vanno dal faraone e gli chiedono di lasciare libero il loro popolo. Cosi inizia la storia delle 10 piaghe…le prime sette di queste compaiono nella porzione di questa settimana. Con ogni piaga, il cuore del faraone s’indurisce sempre più. 

Lezione: La nostra porzione di questa settimana è tutta azione. Giunge la prima piaga ed inizia il confronto fra Mosè ed il faraone –la trama per un ottimo film  

Sangue. Rane. Pidocchi. Insetti. La Peste. Eppure il faraone si rifiuta di lasciare andare gli Israeliti. 

C’è da dire che in realtà, in Esodo 7:3, è Dio stesso che dice “Indurirò il cuore del faraone, in modo da poter moltiplicare i miei segni e le mie meraviglie nella terra d’Egitto”.  E’ strano che sia proprio Dio ad indurire il cuore del faraone.

Le piaghe sono una chiara prova del potere assoluto di Dio. Gli Egiziani finiscono per conoscerne il potere in maniera dolorosa e anche gli schiavi Israeliti vedono la forza di Dio. 

Alla fine di questa porzione, Dio dice: “Vi ho risparmiato per questo motivo: in modo da dimostravi il mio potere, ed in modo che la mia fama riecheggi in tutto il mondo” (Esodo 9:16).  Qui Dio ci insegna che anche gli Israeliti dovevano conoscere il potere di Dio. 

Gli Israeliti sono schiavi da più di 400 anni. Hanno conosciuto solo oppressione. Per generazioni sono stati demoralizzati e de-umanizzati. Durante il corso della loro schiavitù sono distanti da Dio. Non sono abituati ad avere un Dio presente. Dopo 400 anni sarebbe stato difficile per loro credere in un Dio che li avrebbe salvati. 

Dopo aver visto il potere di Dio sotto la forma delle prime piaghe, gli Israeliti iniziano a conoscere un Dio che è presente nelle loro vite, un Dio onnipotente, un Dio che potrebbe davvero liberarli dalla schiavitù. Dio indurisce il cuore del faraone per costringere gli Egiziani ha liberare gli Israeliti. Dio indurisce il cuore del faraone in modo che il nostro popolo potesse conoscere un Dio onnipotente, che ci avrebbe salvati e che avrebbe viaggiato con noi migliaia di anni dopo.

Shabbat Shalom

Rabbi Goor

Shabbat Shemot 18 Gennaio

17 Gennaio – Sh’mot – Esodo 1:1-Esodo 6:1

Riassunto: Con questo Shabbat iniziamo un nuovo libro della Torà. In questa porzione scopriamo che vi era un nuovo faraone in Egitto, che non sapeva di Giuseppe. Il nuovo faraone teme gli Israeliti e di conseguenza li schiavizza per costruire nuove città. Ordina l’uccisione di tutti i nascituri ebrei. In un atto di disobbedienza civile, due ostetriche si rifiutano. Nasce Mosè che viene messo in una cesta sul fiume. Viene trovato ed accolto nella famiglia reale. Crescendo, colpisce uno dei capisquadra addetti agli schiavi e lo uccide, portandolo a nascondere nel deserto. Vede poi un roveto ardente, ma che non viene consumato dalle fiamme. In quel momento incontra Dio e conosce l’essenza di Dio ma non il suo nome.  Dio chiede a Mosè di liberare gli Israeliti dalla schiavitù. 

Lezione: Presso il roveto ardente, Mosè incontra Dio e chiede quale sia il suo nome. Mosè disse a Dio : "Quando giungo presso gli Israeliti e dico loro ‘Il Dio dei vostri antenati mi ha mandato presso di voi'  e loro mi chiedono 'Qual è il suo nome?’ cosa posso rispondere loro?” Mosè è alla ricerca di un nome che possa descrivere il Dio che vuole liberare la sua gente. La risposta di Dio non è chiara:  "Ehyeh-Asher-Ehyeh" (Esodo 3:14). 

Proprio come Mosè,  che aveva dubbi sul conoscere Dio, anche noi abbiamo gli stessi dubbi.

Dio risponde con un nome inusuale : “Ehyeh-Asher-Ehyeh”. Cosa possiamo imparare su Dio dalla sua risposta? La risposta evasiva di Dio ci dà la possibilità di conoscere Dio a modo nostro. Il mio collega, Rabbi Peter Knobel, ci insegna:  "Sono ciò che vuoi che io sia. Sono ciò di cui hai bisogno. Non puoi conoscere la mia essenza ma avrai un rapporto con me, e racconterai storie sui tuoi incontri con me. Queste ultime non saranno completamente precise, perché io non sono un concetto ma una realtà complessa, che può essere provata ma non può essere definita o limitata dal linguaggio. Questo è ciò che sono e ciò che sarò”.

Spesso cerchiamo Dio e ci sembra di non avere un riscontro. Forse non è Dio che manca, ma siamo noi ad essere assenti. Può darsi che non siamo ancora pronti a raccogliere la sfida lanciata da Dio e dall’ebraismo: creare un mondo migliore. Sta a noi creare un rapporto tra il divino e l’essere umano tramite il tikkun olam, "creare un mondo migliore”. Dio non è assente. Dio sta semplicemente aspettando di essere invitato nel nostro mondo. 

Shabbat Shalom

Rabbi Goor