Nella Parashat Emor, i versi 23:1-44 nel Levitico descrivono le feste in termini di date e ore sacre nel calendario ebraico. La Torah descrive dettagliatamente le celebrazioni e commemorazioni: Shabbat, Rosh HaShanah, Yom Kippur, e le tre feste di Pesach, Shavuot, e Sukkot. Il tempo diventa sacro e nasce così il concetto di tempo sacro rispetto a quello secolare.
Anche se le feste vengono stabilite per Dio, non sono stabilite da Dio.Il Levitico 23:2 recita, "Ecco le feste dell’Eterno, che voi proclamerete come sante convocazioni, queste sono anche le Mie convocate stagioni.” In altre parole, noi umani diamo lo status di santo ad un giorno particolare e cosi facendo diventa sacro a Dio. Maimonide ci regala un commento soprendente in merito alla dichiarazione di queste date nel suo codice di leggi, Mishneh Torah. Riguardo alla santificazione del nuovo mese dice: "Una corte che santifica il mese, che sia per sbaglio che per coercizione, diventa santo e tutti hanno l’obbligo di fissare le feste il giorno in cui furono santificate...” In altre parole, se una festa viene stabilita, anche se per sbaglio, la comunità la deve comunque osservare il giorno in cui è stata stabilita.
E se noi in quanto comunità milanese volessimo spostare il giorno di Shabbat? Supponiamo che il venerdi sera e il sabato non ci vadano bene e lo volessimo spostare al martedì sera e al mercoledì? Se i capi della comunità decidessero di fare così -secondo Maimonide e i teologi ebrei- ciò sarebbe possibile. Quindi ci troveremmo il martedì (o di persona o come facciamo ora su Zoom), la gente mostrebbe la challah preparate per l’occasione, canteremmo “L’cha dodi” e dichiareremmo che il martedì sera e il mercoledì sono Shabbat. Come ci sentiremmo? Sarebbe davvero Shabbat?
Io non voglio provare questo esperimento-ma posso immaginare come ci sentiremmo. Inizialmente potrebbe essere divertente: Shabbat a metà settimana!! Ma finiremmo probabilmente per concludere che non ci sembrerebbe Shabbat. Chiediamoci il perché.
Saremmo fuori sincronia con le altre comunità ebraiche a livello mondiale. Saremmo gli unici a cantare canzoni di Shabbat il martedi sera mentre il resto del mondo no. Quando celebriamo Shabbat il venerdi ed il sabato, quando ci sediamo per il seder, quando accendiamo le candele la prima sera di Chanukah, quando udiamo il suono dello shofar a Rosh HaShanah, immaginiamo come gli ebrei nel mondo stiano celebrando queste feste. La sera di Pesach, seduti ai nostri tavoli, vediamo ebrei in Italia, negli Stati Uniti, in Israele e anche in Sud America mentre intingono il prezzzemolo nell’acqua salata. Dati i tempi, le stagioni e i rituali ad essi assiocatei, riusciamo ad immaginare altri ebrei che festeggiano come noi.
Questa immagine di una comunità ebraica è un concetto analizzato da Benedict Anderson nel suo libro “Comunità Immaginate” (1991). In questo volume, l’autore descrive come nazioni, stati e comunità s’immaginano parte di un popolo collegato spesso dalla cultura, dalla religione e dalla lingua. Anche se non conosciamo molti dei membri di questa comunità globale di ebrei, siamo legati a loro dal fatto che abbiamo in comune la cultura, il cibo, la lingua ed il calendario.
Non vedo l’ora di vedervi questo prossimo venerdi su Zoom, non vedo l’ora di vedere la challah che avrete preparato e non vedo l’ora di immaginare milioni di ebrei illuminati dalla luce delle candele di Shabbat, assaporando il vino sabbatico e mostrando ad amici e parenti le bellissime challah che hanno preparato. Anche se al momento stiamo cantando e pregando dallo schermo di un computer, facciamo ancora parte di una forte comunità di ebrei che sta festeggiando insieme a noi.