La porzione di Torah di questa settimana è doppia : Behar-Bechukotai. Nella prima porzione, “Behar” (che significa “presso la montagna”) impariamo le regole dello “Shmitah”-una legge secondo cui la terra deve rimanere incoltivata ogni settimo anno. Come noi esseri umani osserviamo lo Shabbat ogni sette giorni dopo aver lavorato i precedenti sei giorni, Dio chiede che la terra venga lavorata e coltivata per sei anni, ma che sia lasciata a riposo il settimo anno.
In seguito ai sette cicli di shemittah, il cinquantesimo anno (7 x 7 = 49, l’anno dopo il 49esimo anno, quindi il 50esimo), viene detto yovelor-il giubileo. Il cinquantesimo è un anno di riposo per la terra, e, oltre a questo, anche gli schiavi vengono liberati e tutte le proprietà tornano al proprietario originale. Ciò significa che quando qualcuno compra un appezzamento di terreno sa che sarà suo fino allo yovelor , quando poi tornerà al proprietario originale.
Nel Bechukotai (“le mie leggi”) viene detto agli Israeliti che, se seguiranno i comandamenti di Dio, avranno cibo a sufficienza, pioggia che nutrirà il loro raccolto, la pace e la sicurezza regneranno, sconfiggeranno gli eserciti nemici, e Dio sarà sempre con loro.
La porzione conclude con una serie di moniti: se il popolo non dovesse seguire i comandamenti di Dio verrà punito. Le parole della Torah ci ricordanno che, comunque vada, Dio sarà sempre con noi.
Ho grandi difficoltà a conciliarmi con la teologia presente in questa porzione di Torah: Dio ci ricompensa se i comandamenti vengono seguiti e ci punisce se le mitzvot non vengono seguite. Probabilmente per una società in divenire come quella degli Israeliti questa teologia paternale avrebbe funzionato. Sicuramente funzionava nel mantenere diligente e sotto controllo un popolo che era appena stato liberato dalla schiavitù.
Ovviamente una dottrina di questo genere presentata nella Torah è difficile da digerire per noi: i buoni vengono ricompensati e i cattivi vengono puniti, sono sicuro che tutti conosciamo brave persone che hanno sofferto terribilmente mentre i malvagi sembrano essere spesso coloro che vengono ricompensati. Quindi come possiamo interpretare i precetti presentati in questa porzione?
Il mio insegnante, mentore e amico, Rabbi Richard Levy (pace all’anima sua) affronta questo problema nel suo libro di preghere “Sulle Ali Dello Stupore.” Rabbi Levy affronta le parole nella Torah non da un punto di vista didattico ma da uno di amore e compassione. Egli scrive:
Se siamo capaci di udire le parole giunte dal Sinai,
Allora l’amore scorrerà da noi;
E serviremo tutto ciò che è sacro
Con tutto il nostro intelletto e tutta la nostra passione
Per tutta la nostra vita…
Ma se ignoriamo le parole giunte dal Sinai
E ci mettiamo al servizio di ciò che è comune e profano,
Divinizzando ciò che ci è comodo o il nostro potere,
Allora il lato sacro della vita ci lascerà,
Il nostro mondo diventarà inospitale.
Dobbiamo onorare le generazioni che ci hanno preceduto,
Mantenendo le loro promesse, per loro e per le generazioni che verranno.
Levy ci dice che possiamo solo fare del nostro meglio, ascoltare le parole giunte dalla montagna e servire Dio come meglio possiamo. Dobbiamo ascoltare queste antiche parole e capire ciò che significano per noi, applicate alle nostre vite e al nostro periodo storico.
Shavout-il momento in cui venne data la legge al popolo- è sempre più vicino e dobbiamo prenderci del tempo per ascoltare: ascoltare le parole giunte dal Sinai, riconoscere in cuor nostro i comandamenti, abbracciare il concetto che possiamo fare solo del nostro meglio, e con diligena insegnare tutto ciò alla prossima generazione.