Parashat B'har - B'chukotai- Levitico 25:1-27:34 7 Maggio 2021

Riassunto : Nella nostra porzione, Dio parla con Mosè presso il Monte Sinai : "Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando entrerete nel paese che io vi darò, la terra dovrà avere il suo sabato consacrato al Signore”. Apprendiamo anche che, se ci comportiamo bene, verremo ricompensati. “Se seguirete le mie leggi, se osserverete i miei comandamenti e li metterete in pratica, io vi darò le piogge alla loro stagione, la terra darà prodotti e gli alberi della campagna daranno frutti”.

Lezione: C’è un libro bellissimo, scritto da Dr. Yosef Guri, intitolato Ascoltiamo Solo Buone Notizie : Benedizioni e Maledizioni Yiddish.  Non vi sorprenderà, ma vi sono ben 200 benedizioni Yiddish. Per contro vi sono 450 maledizioni. Impressionante!

Vorrei condividerne alcune con voi:

-         Che tu possa crescere come una cipolla, con la tua testa nella terra.

-         Che le tue ossa vengano rotte quanto i dieci comandamenti.

-         Che le anime di tutte le suocere di re Salomone ti facciano visita.

-         Che Dio ti scambi per il tuo peggiore nemico e ti maledica con tutte le maledizioni che hai augurato a lui.

Ahi! Più maledizioni che benedizioni. Ciò cosa dice di noi in quanto popolo ebraico?

Siamo giunti alla fine del Levitico. Molti rabbini tirano un sospiro di sollievo una volta che si chiude questo libro, dato che si concentra particolarmente su olocausti, secrezioni corporee e altre cose disgustose…e giusto per chiudere in bellezza, la porzione di Torah di questa settimana esplora la moltitudine di cose terribili che ci possono succedere se non prestiamo ascolto a Dio.

La nostra porzione di Torah questo Shabbat, Behukotai, ci dice letteralmente ciò che Dio vuole da noi. Come il libro di maledizioni Yiddish, vi è una maggioranza di maledizioni rispetto alle benedizioni in questa porzione di Torah.

Ecco le maledizioni : “manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre, che vi faranno lacrimare gli occhi e vi consumeranno la vita. Volgerò il volto contro di voi e voi sarete sconfitti dai nemici; quelli che vi odiano vi opprimeranno e vi darete alla fuga, senza che alcuno vi insegua . Renderò il vostro cielo come ferro e la vostra terra come rame. Le vostre energie si consumeranno invano, poiché la vostra terra non darà prodotti e gli alberi della campagna non daranno frutti.”

E la lista prosegue. E’ abbastanza inquietante cosa ci succederà se non seguiamo la via di Dio e non seguiamo i suoi comandamenti.

Questa porzione di Torah riguarda la divina ricompensa. Ed è completamente l’opposto di ciò che crediamo da ebrei moderni. Ovvero che il testo della Torah dica che la punizione è il risultato di un peccato commesso da una o più persone. Detto meglio, brutte cose succedono a persone cattive. Belle cose succedono a persone buone. Quando cose brutte succedono a qualcuno, deve esserci un difetto per cui quella persona va punita. Ma noi sappiamo di persone terribili che sono alquanto fortunate e persone fantastiche che non sono altrettanto fortunate.

Vi è un altro modo per comprendere questa porzione di Torah. Nel cercare di comprendere i versi del Levitico tratti dalla porzione di questa settimana: “Ma se non mi ascolterete e se non metterete in pratica tutti questi comandamenti, se disprezzerete le mie leggi e rigetterete le mie prescrizioni, non mettendo in pratica tutti i miei comandi e infrangendo la mia alleanza…” (Levitico (26:14-15)

Credo che la parola chiave sia “alleanza”. Infrangere l'alleanza è il problema. Quando i 10 comandamenti vengono infranti, questo è il problema per Dio. Quindi, se questi venissero infranti costantemente, cosa succederebbe?

Rabbi Uzi Weingarten scrive: “Quando la Torah dice che le persone si comportano in un modo che “infrange la mia alleanza”, sta descrivendo un collasso del comportamento etico e spirituale talmente elevato che i dieci comandamenti non vengono osservati. Immaginiamo cosa implicherebbe ciò. Uccisioni, adulteri, furti e spergiuri sarebbero consuetudine. La gente trama e connive in modo da poter portare via le cose agli altri o tramite la forza o tramite l'inganno o tramite falsa testimonianza. Il giorno settimanale del riposo, con le sue benedizioni di rilassamento e tempo con la famiglia e gli amici, viene abbandonato a favore di più shopping e lavoro. I genitori (ed altri insegnanti di valori) non vengono rispettati. Il nome di Dio viene utilizzato per sostenere le falsità. Insomma, una società in cui i valori etici e spirituali non esistono più”.

Weingarten prosegue: “Se mi venne chiesto cosa succederebbe ad una società del genere nel lungo termine, prevederei che finirebbe in rovina. Il crollo della giustizia risulterebbe in una perdita di fiducia e sicurezza. L'inseguimento della ricchezza come valore più alto porterebbe, oltre ad altre cose, al fallimento dei rapporti umani ed alla distruzione dell’ambiente. Il perdere un giorno di riposo e di rinnovamento spirituale aumenterebbe significativamente il livello dello stress. Presi insieme, questi fattori renderebbero le persone maggiormente suscettibili a malesseri emotivi e fisici.”

Questo è proprio come la Torah inizia la sua descrizione delle conseguenze all’infrangere l'alleanza con Dio.”  Parla di " terrore, consunzione e febbre, che vi faranno lacrimare gli occhi e vi consumeranno la vita.” (Levitico 26:16). Verissimo!

La cosa che personalmente immagino succederebbe è che una società del genere, indebolita dall’interno, sarebbe facile preda di minacce esterne. E’ così che sono collassate grandi potenze del passato. E la Torah prosegue:  “Seminerete invano il vostro seme: se lo mangeranno i vostri nemici”.

Quindi è come scegliamo di vivere la nostra vita che è fondamentale. Scegliamo quindi di seguire la via di Dio. Le maledizioni nella nostra porzione vanno comprese come conseguenze delle nostre azioni. Non sono punizioni inflitte da Dio, ma un monito che è il come viviamo a fare la differenza. Queste cose orribili succederanno se viviamo in una società priva di leggi e ingiusta.

Alla fine, l'alleanza con Dio rimane. Alla fine del verso leggiamo: “…quando saranno nel paese dei loro nemici, io non li rigetterò e non mi stancherò di essi fino al punto d'annientarli del tutto e di rompere la mia alleanza con loro; poiché io sono il Signore loro Dio”.

E’ una promessa incondizionata, se non una benedizione. Nonostante molti abbiano cercato di distruggerci nel corso della storia, non hanno mai avuto successo. Siamo un popolo eterno protetto da Dio, amati da Dio, sempre e comunque. E questo anche quando ci allontaniamo dalla sua via a livello individuale o collettivo: non è mai troppo tardi per il Teshuvah, il ritorno sulla via di Dio.

Quindi, nonostante la pletora di maledizioni, possiamo sentirci rassicurati, perché ciò è davvero una benedizione.

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Parashat Emor: Levitico 21:1−24:23, 30 Aprile 2021

Riassunto : La nostra parashà di questa settimana ripete le leggi che regolano la vita ed i sacrifici fatti dai sacerdoti come già incontrato precedentemente. Viene poi menzionata una serie di momenti chiave nel calendario ebraico : Shabbat, Rosh Hashanah, Yom Kippur e le feste pellegrine di  Pesach, Shavuot, e Sukkot. Dio poi comanda agli israeliti di portare olio di oliva chiaro per accendere la menorah del santuario. Vengono anche indicati gli ingredienti e dove vanno posizionati i tozzi di pane per il santuario. Infine, troviamo le leggi che regolano la volgarità, l’assassinio e la mutilazione.

Lezione: I rabbini della nostra tradizione sentivano spesso il bisogno di reinterpretare leggi all'interno della Torah. Da questo impariamo che la legge ebraica cambia e cresce nel corso dei secoli.

Nella nostra porzione di questa settimana troviamo cosa fare per rispondere in una situazione in cui del male fisico viene arrecato a qualcuno. Tre volte nella Torah, e nuovamente in questa porzione, apprendiamo che “Se una persona uccide un altro essere umano, essa stessa verrà condannata a morte…una vita per una vita…frattura per frattura…occhio per occhio, dente per dente. Il male che ha arrecato verrà arrecato a lei”.

Nel corso delle generazioni gli interpreti hanno cercato di spiegare cosa volesse dire la Torah con queste leggi. Alcuni vedono la punizione come la “legge del deserto” praticata anche dopo che il nostro popolo si era stabilito nella terra promessa. Per altri commentatori tradizionali, “una vita per una vita” può essere vista come una forma assoluta della legge del taglione.

Ciò nonostante, molti commentatori sono in disaccordo con questa interpretazione della legge. Una lettura semplificata del testo vede questa “legge del taglione”, fondata sul principio che “la punizione deve pareggiare il crimine”. I nostri commentatori introducono un nuovo principio nel leggere questa legge:  il principio di una “legge dell'equivalenza.” Questa teoria fa sì che la parte lesa venga risarcita per i danni patiti invece di arrivare ad una vendetta. Se una persona perde un occhio, viene ripagato del valore di quell’occhio, se perde un dente a causa di una violenza, verrà ripagato per il valore equivalente di quel dente.

Come avvenne l'adozione di questa legge? I nostri commentatori si pongono la domanda “E se una persona perdesse solo parzialmente la vista, o il parziale uso di un arto? Come si può adottare questa legge, ovvero punire con lo stesso danno?” Perciò, i commentatori vedono il testo originale tratto dalla nostra porzione come un riferimento alla compensazione in denaro, piuttosto che con un danno fisico di pari misura. Questa interpretazione del testo originale della Torah diventa la comprensione comune con l'arrivo del Talmud.  Ibn Ezra e Maimonide sono entrambi d'accordo su questa interpretazione del testo.

Nehama Leibowitz, un commentatore moderno, va anche oltre quando propone che non dovremmo trattare il corpo come se fosse parte di una macchina, qualcosa che viene usato e poi buttato via. Ci ricorda che il corpo è un dono sacro di Dio e che non possiamo liberarci di arti, dato che il nostro corpo per intero appartiene a Dio. Perciò, nessuna persona ha il diritto di infliggere danni al corpo di un'altra persona. Quando la giustizia chiede un compenso per i danni arrecati al corpo di un altro, il compenso finanziario è l'unica via percorribile. Nehama scrive che “onorare il corpo vuol dire onorare Dio.”

Maimonide aggiunge un pezzo importante a questo puzzle, quando avverte che “nessun compenso è completo, nessun torto perdonato sinché quella persona che ha arrecato il danno non chieda alla vittima di perdonarlo e sia perdonata.” Egli va anche oltre dicendo “Non è permesso alla parte lesa di essere crudele e intransigente. Appena la parte colpevole ha cercato perdono…questa va perdonata.”

Nel corso delle generazioni i nostri commentatori hanno dimostrato grande coraggio. Erano disposti a prendere il testo originale della Torah e reinterpretarlo in modi nuovi e rivoluzionari. Questa abilità di interpretare e cambiare la comprensione di testi antichi è una delle strade che ha permesso all’ebraismo di rimanere un sistema di credo florido e a persistere anche oggi quale stile di vita.

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Parashat Acherei Mot – Kedoshim: Leviticus 16:1-20:27, 23 Aprile 2021

Riassunto :   La nostra parashà di questa settimana é doppia, alquanto insolita e ad essere sincero, non proprio piacevole. Il nostro testo si focalizza sulle impurità corporee. Nella nostra porzione, Dio descrive i riti di purificazione per una donna in seguito ad un parto. Dio poi procede a descrivere i metodi per la diagnosi ed il trattamento di diverse malattie della pelle, tra queste tzara’at (una malattia simile alla lebbra), e come purificare i vestiti. Vengono poi descritti i riti sacerdoteschi per curare lo tzara’at e quali riti adottare per purificare le abitazioni di chi soffre di questa malattia. La parashà descrive poi le impurità maschili risultanti da emissioni seminali. La parashà conclude con descrizioni delle impurità femminili causate da sanguinamenti.

 Lezione: Anche se la nostra porzione riguarda diverse tipologie di malattie, soprattutto malattie della pelle come la lebbra, o di problemi di muffa nelle case, i nostri commentatori, forse nel tentativo di evitare la vera materia presente in questa parashà, la trovano lezione interessante, nel mezzo delle descrizioni riguardanti malattie e riti curatori. I nostri commentatori vedono la lebbra come un segnale esterno di decomposizione interna. La malattia diventa un simbolo per la corruzione, l’immoralità e l’insensibilità. 

Come si chiama la nostra parashà?  Tazria-Metzora.  Ed i nostri commentatori giocano con questo nome-dalla parola Metzora ottengono Motzi-Shem-Ra –cambiando così il focus della parashà da Metzora – malattie della pelle e lebbra - a Motzi-Shem-Ra,  la calunnia.  Nel Talmud leggiamo: “Resh Lakish disse: Cosa implica la frase “Questa sarà la legge del lebbroso” (Metzora)?  “[Dovremmo interpretare che questa è la legge per il calunniatore” (motzi-shem-ra).   

Dalle malattie della pelle alla calunnia. Quanto sono brillanti i nostri commentatori?!! Quanto è importanto la loro lezione per noi oggi?!

Nel Midrash, i nostri commentatori rabbinici sottolineano il potere della calunnia quando dicono che “La lingua è una freccia appuntita…”: perché la lingua viene paragonata ad una freccia? Se un uomo alza la spada per uccidere un suo simile, quest'ultimo chiede pietà ed il potenziale uccisore cambia idea e rinfodera la spada. Ma una freccia non può essere richiamata una volta scagliata, anche se lo si desidera”.

I nostri commentatori continuano: “E così l’uomo malvagio uccide altri uomini con la sua lingua, proprio come una freccia. Come la vittima, non se ne rende conto finchè la freccia non lo raggiunge, così anche gli effetti della calunnia non vengono percepiti dalla vittima finché le frecce di un uomo malvagio non lo colpiscono.

Motzi-Shem-Ra – la calunnia– un problema evidente anche nella nostra società, dai nostri politici ai nostri vicini ed amici. La nostra società è afflitta dalla Metzora – non la malattia della pelle, ma la malattia della corruzione, immoralità, insensibilità e calunnia.

Vorrei condividere con voi una delle mie storie preferite. Un mercante errante arriva nella piazza di una città e cercando di vendere l’elisir della vita eterna! Riesce ad attrarre una grande folla, pronta a comprare il suo prodotto. Raccolta una certa somma di denaro, il mercante rivela dove si nasconde il segreto del suo elisir…nel libro dei salmi: “Desideri la vita? Tieni lontano la tua lingua dal male e le tue labbra dall’inganno”.

In una porzione di Torah piena di descrizioni spiacevoli della malattia, i nostri commentatori scoprono in maniera creativa una lezione importante. Secondo la Torah come possiamo combattere la malattia sociale nelle nostre vite? Secondo la Torah, come possiamo combattere la malattia della corruzione, dell’immoralità, dell'insensibilità e della calunnia?” Tieni lontano la tua lingua dal male e le tue labbra dall’inganno.”

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Parsahat Tazria – Metzora: Leviticus 12:1-15:33 - 16 aprile 2021

Riassunto :   La nostra parashà di questa settimana é doppia, alquanto insolita e ad essere sincero, non proprio piacevole. Il nostro testo si focalizza sulle impurità corporee. Nella nostra porzione, Dio descrive i riti di purificazione per una donna in seguito ad un parto. Dio poi procede a descrivere i metodi per la diagnosi ed il trattamento di diverse malattie della pelle, tra queste tzara’at (una malattia simile alla lebbra), e come purificare i vestiti. Vengono poi descritti i riti sacerdoteschi per curare lo tzara’at e quali riti adottare per purificare le abitazioni di chi soffre di questa malattia. La parashà descrive poi le impurità maschili risultanti da emissioni seminali. La parashà conclude con descrizioni delle impurità femminili causate da sanguinamenti.

 Lezione: Anche se la nostra porzione riguarda diverse tipologie di malattie, soprattutto malattie della pelle come la lebbra, o di problemi di muffa nelle case, i nostri commentatori, forse nel tentativo di evitare la vera materia presente in questa parashà, la trovano lezione interessante, nel mezzo delle descrizioni riguardanti malattie e riti curatori. I nostri commentatori vedono la lebbra come un segnale esterno di decomposizione interna. La malattia diventa un simbolo per la corruzione, l’immoralità e l’insensibilità. 

Come si chiama la nostra parashà?  Tazria-Metzora.  Ed i nostri commentatori giocano con questo nome-dalla parola Metzora ottengono Motzi-Shem-Ra –cambiando così il focus della parashà da Metzora – malattie della pelle e lebbra - a Motzi-Shem-Ra,  la calunnia.  Nel Talmud leggiamo: “Resh Lakish disse: Cosa implica la frase “Questa sarà la legge del lebbroso” (Metzora)?  “[Dovremmo interpretare che questa è la legge per il calunniatore” (motzi-shem-ra).   

Dalle malattie della pelle alla calunnia. Quanto sono brillanti i nostri commentatori?!! Quanto è importanto la loro lezione per noi oggi?!

Nel Midrash, i nostri commentatori rabbinici sottolineano il potere della calunnia quando dicono che “La lingua è una freccia appuntita…”: perché la lingua viene paragonata ad una freccia? Se un uomo alza la spada per uccidere un suo simile, quest'ultimo chiede pietà ed il potenziale uccisore cambia idea e rinfodera la spada. Ma una freccia non può essere richiamata una volta scagliata, anche se lo si desidera”.

I nostri commentatori continuano: “E così l’uomo malvagio uccide altri uomini con la sua lingua, proprio come una freccia. Come la vittima, non se ne rende conto finchè la freccia non lo raggiunge, così anche gli effetti della calunnia non vengono percepiti dalla vittima finché le frecce di un uomo malvagio non lo colpiscono.

Motzi-Shem-Ra – la calunnia– un problema evidente anche nella nostra società, dai nostri politici ai nostri vicini ed amici. La nostra società è afflitta dalla Metzora – non la malattia della pelle, ma la malattia della corruzione, immoralità, insensibilità e calunnia.

Vorrei condividere con voi una delle mie storie preferite. Un mercante errante arriva nella piazza di una città e cercando di vendere l’elisir della vita eterna! Riesce ad attrarre una grande folla, pronta a comprare il suo prodotto. Raccolta una certa somma di denaro, il mercante rivela dove si nasconde il segreto del suo elisir…nel libro dei salmi: “Desideri la vita? Tieni lontano la tua lingua dal male e le tue labbra dall’inganno”.

In una porzione di Torah piena di descrizioni spiacevoli della malattia, i nostri commentatori scoprono in maniera creativa una lezione importante. Secondo la Torah come possiamo combattere la malattia sociale nelle nostre vite? Secondo la Torah, come possiamo combattere la malattia della corruzione, dell’immoralità, dell'insensibilità e della calunnia?” Tieni lontano la tua lingua dal male e le tue labbra dall’inganno.”

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Parashat - Shemini Leviticus 9:1-11:47 - 9 aprile 2021

Riassunto :  Nella nostra porzione di questa settimana, Aronne ed i suoi figli seguono le istruzioni di Mosè sulle offerte sacrificali in modo che Dio possa perdonare il popolo. Due dei figli di Aronne, Nadab e Abihu, offrono "fuoco alieno" a Dio. Dio punisce i due sacerdoti uccidendoli istantaneamente. Dio proibisce a Mosè, ad Aronne ed i suoi figli sopravvissuti di compiangere Nadab e Abihu e lo stesso vale anche per il resto del popolo. Ai sacerdoti viene poi detto di non bere alcool prima di entrare nel sacro tabernacolo e vengono poi istruiti ulteriormente su come compiere sacrifici. Infine, vengono date molte delle leggi che riguardano il Kashrut che fanno distinguo fra animali, uccelli, pesci ed insetti puri ed impuri.

 Lezione : Due figli di Aronne morirono per aver portato “fuoco alieno” come offerta al santuario. Il testo della porzione di Torah è poco chiaro. Nel corso delle generazioni, i commentatori hanno cercato di meglio comprendere e spiegare cosa mai avessero fatto di male Nadab e Abihu.

Alcuni commentatori scrivono che i due fratelli vennero puniti non per l’atto di aver portato il fuoco sbagliato nel santuario. Invece vennero puniti per l’intento malizioso dietro l’atto. Secondo i nostri rabbini, i due fratelli erano troppo ambiziosi e volevano usurpare il potere di Mosè ed Aronne. Si palesarono nel santuario con le loro offerte nella speranza di impressionare il popolo a tal punto da ispirare una richiesta di cambio di comando. Piuttosto che presentarsi presso il santuario con un intento puro e sacro, si presentarono con invidia ed impazienza ed infine furono puniti per la loro arroganza, la loro sete di potere e di posizione. Il peccato per cui vennero puniti fu il fuoco dell'ambizione che bruciava dentro di loro.

Rashbam, un commentatore del dodicesimo secolo scrive di un motivo diverso per la punizione riservata ai fratelli e invece trova il loro errore in piena vista nel testo della Torah. “Ciascuno prese la propria padella per il fuoco, l’accesero… e offrirono a Dio, fuoco alieno, che Dio non aveva comandato loro di fare.” Il peccato dei fratelli fu che portarono fuoco, ciò che andava oltre a quanto era stato comandato loro di fare. Invece di seguire la legge, la interpretarono a modo loro. Evidentemente erano commossi dal rituale che Mosè ed Aronne avevano compiuto. Probabilmente nel loro entusiasmo e nella loro gioia, entrarono nel luogo sacro per bruciare incenso, qualcosa che non era stato comandato loro di fare.

La Torah non fa chiarezza su cosa sia “fuoco alieno”, e perciò non sappiamo esattamente perché i due fratelli morirono. Fu la loro ambizione ed arroganza che portò alla loro punizione, o fu lo zelo e l'entusiasmo della gioventù? In entrambi i casi ciò che è sicuro è il dolore arrecato ad Aronne nel vedere morire due suoi figli. Sentiamo la profondità della sua disperazione nel testo stesso quando leggiamo: ….ed Aronne rimase in silenzio. 

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Parashà – Shabbat Pesach: Esodo 14:30–15:21

Riassunto:

Con la conclusione della nostra celebrazione di Pesach, ci spostiamo dalla solita routine di porzioni settimanali per leggere una porzione speciale di Torah per questa festa. Questa porzione contiene una drammatica versione della divisione del Mar Rosso all'interno di una bellissima poesia conosciuta col nome de “La Canzone Del Mare.”  Scritta con grande emozione, questa poesia cerca di dare l'idea della potenza della “Mano potente di Dio”. Così potente sono le immagini descritte che i versi della poesia sono diventate parte del nostro Tefilah settimanale – Mi Chamocha. La poesia giunge al culmine al finale con la profetessa Miriam, che raccoglie il proprio tamburello e conduce la danze delle donne.

Lezione: 

Immaginate di essere stati liberati dalla schiavitù. Dopo secoli di oppressione, voi e il vostro popolo siete fuggiti verso l’ignoto nella speranza di una vita migliore. I vostri oppressori vi inseguono, sperando di riportarvi in schiavitù oppure di uccidervi. In quel momento in cui perdete ogni speranza, una via di fuga si apre davanti a voi, raggiungete la salvezza ed i vostri oppressori annegano. 

Ogni Pesach raccontiamo questa storia biblica ed immaginiamo che sia la nostra storia. Nel corso delle generazioni, i nostri commentatori hanno trovato lezioni importanti e bellissime in questo antico racconto.

La prima lezione che i nostri commentatori scoprono nella porzione di questa settimana è quella relativa ad un personaggio mitico di nome Nachshon ben Aminadav.  Nachshon fu liberato dall’Egitto insieme al resto degli israeliti. Marciò con loro verso la salvezza fino alle sponde del Mar Rosso.  Quando videro le acque dinanzi a loro temettero di finire annegati. E in quel momento di timore, si guardarono indietro e videro le armate del faraone in avvicinamento. Il popolo, con Mosè alla guida, rimase paralizzato, finché un uomo, Nachshon ben Aminadav, prese in mano la situazione. Sapeva di non avere scelta che andare avanti. Quindi s’incamminò nelle acque. Le acque salirono fino alle sue ginocchia, fino al suo petto, ma continuo a camminare. Poco dopo l'acqua era salita fino alle sue narici, eppure continuava a camminare. Fu precisamente in quel momento, quando non riusciva più a respirare che le acque si divisero, e Mosè e gli altri attraversarono in sicurezza. 

I nostri commentatori aggiungono questa storia mitologica alla nostra tradizione per insegnarci che non possiamo aspettare Dio per agire. No, la liberazione giunge solo ai coraggiosi. Il dono di Nachshon fu la capacità non solo di vedere l’opportunità del momento, ma di credere abbastanza di rischiare e camminare nell'acqua. Ci è stata lanciata la sfida ad essere come Nachshon, ovvero abbastanza coraggiosi da andare avanti. I primi passi sono i più difficili, ed i più necessari. Solo quando Nachshon compie quei primi passi ha davvero inizio la storia della redenzione del nostro popolo.

Dopo aver attraversato il Mar Rosso, gli israeliti cantarono le stesse parole che noi recitiamo ogni volta che recitiamo la preghiera Mi Chamocha , parole tratte dalla porzione di questa settimana. Cantano parole di festeggiamento nell’aver visto la potenza di Dio quando venne diviso il mare e gli egiziani annegarono. La seconda lezione che i nostri commentatori impartiscono da questa porzione ci ricorda che la felicità è difficile da celebrare nel nostro mondo, un mondo così pieno di tristezza. 

Il Talmud ci insegna che, nel vedere gli egiziani annegare, gli angeli erano pronti a cantare, quando Dio li tacitò dicendo loro: “Come osate cantare gioiosamente quando le mie creature stanno morendo?” Il Talmud ci insegna che la nostra felicità personale non dovrebbe mai farci dimenticare le sfortune altrui. Questa lezione gioca un ruolo importante nella nostra tradizione. Nel libro dei proverbi leggiamo: “Quando i malvagi periscono, si canta” ma più avanti ci viene ricordato: “Non gioire quando cade il tuo nemico.” 

Entrambe le midrashim, i racconti rabbinici, ci insegnano lezioni profonde nascoste nel nostro testo. Nachshon ci insegna che non possiamo aspettare che sia Dio ad agire. Ognuno di noi può essere come Nachshon e creare miracoli nel nostro mondo. Impariamo inoltre che nonostante i doni che ci vengono dati in vita, dobbiamo sempre ricordarci di coloro che stanno soffrendo. 

Due gemme nascoste in questa porzione speciale di Torah per il settimo giorno di Pesach.  Due gemme nascoste che aggiungono profondità, bellezza e potenza alle nostre vite. 

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Pesach Blog 5781 / Aprile 2021

Pesach:  Matzot…Libertà…Un sacrificio presso l'antico tempio. Tutto ciò fà parte di questa antica festa che celebriamo questa settimana.

L'ebraismo che oggi conosciamo si è sviluppato nel corso di migliaia di anni. Durante questi millenni l’ebraismo è cresciuto e si è evoluto. Per mantenere il suo carattere vibrante, i nostri maestri e commentatori sono stati disposti ad includere una varietà di racconti all'interno della narrativa principale che conosciamo come l'ebraismo che oggi pratichiamo.

Un esempio di come l’ebraismo includa diverse origini storiche che formano un tutt'uno si può trovare nella varietà di nomi per il Chag, la festa a cui diamo il nome di Pesach.  Nella nostra tradizione quest'ultima possiede quattro nomi diversi:

1.      Il primo nome, e quello con cui siamo maggiormente familiari, è Chag HaPesach – la festa di Pesach.  Questo nome viene associate al racconto biblico della decima piaga, per la quale Dio passò oltre le case degli israeliti. Si riferisce anche all’offerta sacrificale portata all'antico tempio a Gerusalemme. Una parola, Pesach, si riferisce in realtà a due eventi diversi- a Dio che passa oltre le case degli israeliti e al sacrificio presso l’antico tempio- entrambi ebbero luogo a centinaia se non a migliaia d'anni di distanza fra di loro.

2.     Il secondo nome, che non dovrebbe sorprendere, è Chag HaMatzot – la festa del pane azzimo.  Questo nome deriva dalla storia presente nella Torah in cui gli ebrei lasciarono l'Egitto con tale fretta da non avere il tempo di far lievitare il pane. Questo nome rispecchia il ruolo centrale della Matzah durante il santo giorno di Pesach.

3.     Il terzo nome è Chag HaAviv –la festa della primavera.  Questo nome rispecchia il significato stagionale di Pesach, che è evidente nelle verdure e dell'uovo che troviamo sul piatto del Seder, rappresentativo della primavera come momento di rinascita.

4.     Infine, abbiamo il nome Z’man Cheiruteinu – la stagione della libertà.  Questo nome si riferisce alla liberazione dalla schiavitù che è al centro della storia di Pesach.

Ognuno di questi nomi compare nel nostro Seder di oggi. Nel corso delle generazioni, la nostra tradizione ha incluso diversi aspetti di ognuno di questi nomi nel giorno sacro che attualmente festeggiamo. Ed ognuno di questi nomi ci insegna qualcosa su come dovremmo vivere Pesach nelle nostre vite.

Il primo nome, Chag HaPesach – la festa di Pesach, in cui Dio passò oltre le case degli schiavi ebrei, conducendoli successivamente alla libertà, ci ricorda che questa storia riguarda il concetto del fare il primo passo, di essere disposti ad abbandonare le catene della schiavitù per dirigersi verso l’ignoto. Non è un passo facile da compiere. Richiede coraggio…il coraggio di lasciarsi indietro ciò che si conosce, il confortevole, e dirigersi verso un futuro tutto da scoprire. Gli ebrei che lasciarono l'Egitto si diressero verso il deserto del Sinai in un viaggio che durò 40 anni.  Non solo furono testimoni ai miracoli di Dio, ma soffrirono grandi pene. Festeggiamo il loro coraggio e prendiamoli come esempio, ricordandoci che dovremmo emulare il loro coraggio nel fare i primi passi verso il futuro.

 Il secondo nome, Chag HaMatzot – la festa del pane azzimo, richiama il comandamento di evitare qualsiasi tipo di Chametz durante questo giorno sacro. Il semplice atto di consumare Matzah viene considerato un comandamento spirituale. Dovremmo evitare qualsiasi tipo di cibo lievitato, ricordandoci che un ego spropositato e gonfiato può schiavizzare l'anima più di una prigione vera e propria. La natura piatta della Matzah che mangiamo per un’intera settimana ci ricorda che l'umiltà è il nostro obiettivo ultimo.

Il terzo nome, Chag HaAviv – la festa della primavera, ci insegna che noi ebrei siamo degli eterni ottimisti. La primavera, coi suoi fiori ed alberi che ci circondano insieme ai prati verdi e al calore del sole, ci ricorda che in seguito ad un inverno scuro e minaccioso vi sarà una rinascita. Con questa rinascita giunge anche la speranza per un futuro migliore, per un mondo nuovo e puro.

Infine, abbiamo il nome Z’man Cheiruteinu – la stagione della libertà.  Questo nome ci ricorda che Pesach contiene in sé la promessa di una liberazione finale per tutti i popoli. In ebraico, l’Egitto viene detto Mitzrayim – il luogo stretto. Durante il nostro pasto Seder, manteniamo la speranza che noi stessi, e tutti i popoli, possano fuggire dal loro luogo stretto. Speriamo in un mondo in cui si realizzi il sogno della libertà. Un mondo in cui tutti i popoli potranno conoscere la liberazione da qualsiasi forma di schiavitù.

La varietà di nomi evidenzia l'evoluzione di Pesach nel corso dei secoli.  Una Chag – una festa…quattro nomi.  I nomi ci insegnano che dobbiamo essere disposti a fare il primo passo. I nomi ci insegnano che dobbiamo sopprimere il nostro ego. I nomi ci insegnano che vi è speranza per un futuro migliore. Ed i nomi ci insegnano che la liberazione non è ancora finita, non per noi in quanto individui e non per il resto del mondo. La storia del viaggio dei nostri antenati israeliti dalla liberazione alla libertà, che noi, da popolo libero, raccontiamo al tavolo del Seder, ci ricorda che, anche se la libertà non è ancora una realtà, rimane il nostro obiettivo ultimo. 

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Parashat Vayikra Levitico 1:1−5:36 -19 marzo 2021

Riassunto:

Questa settimana iniziamo un nuovo libro della Torah, un libro che si concentra sul culto sacrificale nel tempio. Nella nostra porzione, Dio istruisce Mosè sulle 5 diverse tipologie di sacrifici che andavano fatti presso il santuario :  

1.      Il olah o "olocausto" era un sacrificio volontario che possedeva un alto livello di sacralità e veniva considerata come l'offerta normale. L'animale intero, eccetto la pelle, veniva bruciato sull'altare.

2.     Il minchah o "offerta di pasto" era un sacrificio fatto di farina, olio, sale ed incenso, che in parte veniva bruciato sull'altare e in parte veniva dato ai sacerdoti da mangiare.

3.     Lo  zevach sh'lamim o"sacrificio del benessere" era un'offerta volontaria di un animale dalla mandria di una persona, spesso fatto per tenere fede ad un patto.

4.      Il chatat o "offerta di peccato" era un sacrificio obbligatorio che veniva fatto per espiare peccati accidentali. Questa offerta si differenzia dalle altre dallo speciale trattamento del sangue dell'animale.

5.      Il asham o "offerta di pena" era un sacrificio obbligatorio di un caprone da parte di chi aveva rubato.

Lezioni:

Quando gli insegnanti si riuniscono, amano raccontare storie sulle scuse più curiose fatte loro da loro studenti. “Il cane mi ha mangiato i compiti” “La mia sveglia non funzionava”. “Il traffico era terribile”. “Il mio computer è andato in panne” “Nessuno me lo ha detto.”

Usiamo scuse di questo tipo per diversi motivi…  OK – a volte queste scuse sono veritiere, ma raramente raccontano i fatti per intero. Spesso ci viene più facile parlare dei nostri fallimenti come un qualcosa che va al di fuori del nostro controllo, come se in qualche modo non fosse colpa nostra. Non puoi dare la colpa a me, quando in realtà fu il mio cane, la mia sveglia, il traffico, il mio computer, o meglio di tutte, è colpa degli altri. E’ molto facile dare la colpa a qualcun altro.  Non ci piace avere torto. Ci dà fastidio.

Questa settimana iniziamo la nostra lettura del Levitico, che sembra essere il libro che piace meno per quanto riguarda la Torah! Perché? Date un occhio alla parashà di questa settimana , è un litania di sacrifici : עולה olah – l’olocausto, מנחה mincha – l’offerta di pasto, שלמים sh’lamim – l'offerta del benessere, חטאת chatat –offerta di purificazione, e אשם asham – offerta riparatoria. Tanti sacrifici– tanto sangue e tanta truculenza– tutto per errori che abbiamo commesso noi!

Non siamo gli unici ebrei a livello storico a sentirci infastiditi da tutti questi sacrifici! Il profeta Isaia scrive :  

“Perché mi state offrendo tutti questi sacrifici?”dice Adonai; “Sono stufo – di questi olocausti di caproni, del grasso, e non desidero il sangue di tori, di agnelli, o di capretti.

Isaiah ci dice che ciò che Dio vuole davvero da noi è questo:  

“Non fare più del male. Impara a fare del bene; persegui la giustizia, dai forza agli oppressi, sostieni i diritti dell'orfano e della vedova.”

Migliaia di anni dopo, vi sono lezioni che anche noi possiamo apprendere dal Vayikra –dai sacrifici del Levitico. Primo – possiamo ringraziare Dio che i nostri avi presero a cuore le parole di Isaiah. Piuttosto che soffermarsi sul sangue e le frattaglie e perseguire un ebraismo fatto di sacrifici animali, ascoltarono le parole di Isaiah e si concentrarono sul discorso umano per perseguire un ebraismo di giustizia.

Eppure, vi è una lezione importante anche nei sacrifici stessi. Il Levitico, con i sacrifici animali, dona agli israeliti una serie di strumenti con cui possono riparare il mondo, il santuario e se stessi. Nel presentare una via per riparare dove si ha errato, il Levitico ci dice che abbiamo il controllo sulle nostre vite e sul nostro mondo, che possiamo porre rimedio quando abbiamo sbagliato.

Non vi sono demoni a cui dare la colpa quando qualcosa va storto. Il Levitico non si sofferma sulle scuse. Non permette agli antichi ebrei di dire “la mucca ha mangiato il mio sacrificio; il mio asino ha distrutto tutto!” Il Levitico non si sofferma sul motivo del peccato. L'enfasi è invece posta sulla risposta, il modo in cui superiamo i nostri errori.

Una bella sfida al nostro modo di pensare: il cercare sempre qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa. Il Levitico ci insegna che quando sbagliamo non dobbiamo creare scuse. Lavoriamo sui nostri errori e impegniamoci a porvi rimedio. Ci vogliono carattere e forza morale per assumere la responsabilità delle nostre azioni e per essere onesti con gli altri su queste ultime e a maggior ragioni essere onesti con noi stessi. Essere ebrei significa non trovare scuse. Questa è la sfida che il Levitico ci lancia. 

Shabbat Shalom

Rabbi Don Goor

Il Miskhan & Shabbat 12 Marzo 2021

Il Miskhan + Shabbat…un palazzo in terra ed un palazzo nel tempo

Finalmente, dopo diverse settimane fatte di istruzioni nelle nostre ultime porzioni di Torah, il Mishkan, il tabernacolo, la tenda d’incontri, viene completata.  E qual è il primo ordine emanato in seguito a questo? Il ricordo di mantenere lo Shabbat! 

Perchè una parashà sul Mishkan inizia con una discussione su Shabbat? Lo Shabbat è già stato menzionato in altre parti della Torah, più recentemente nella porzione di settimana scorsa. Rashi, il grande commentatore dell'undicesimo secolo si pone la medesima domanda e si dà una risposta. Rashi scrive che la discussione compare in modo che il popolo venga avvisato che il mantenere Shabbat non perde la precedenza sulla costruzione del Mishkan. 

Qual è la preoccupazione di Rashi?  Il concentrarsi sulla costruzione del Mishkan potrebbe portare la gente a dimenticarsi di osservare Shabbat. Avevano portato doni dai loro cuori, così tanti doni che Mosè fu costretto a dire loro di smettere! La preoccupazione di costruire il Mishkan potrebbe portare il popolo a credere che la costruzione di un luogo fisico, in cui Dio potesse soggiornare, fosse più importante che il mantenere lo Shabbat. Rashi non sta sminuendo il processo di costruzione del Mishkan, sapeva della sua importanza. 

Ciò che Rashi sta sottolineando è la tensione fra Mishkan e Shabbat. Il Mishkan rappresenta il luogo fisico mentre lo Shabbat si occupa pienamente del discorso spirituale.

In termini pratici vi è un collegamento diretto fra la costruzione del Mishkan è l’osservare Shabbat. Tutte le buone azioni che si compiono durante sei giorni della settimana non si dovrebbero compiere durante Shabbat. La Mishnah divide queste azioni in 39 categorie di lavoro. Qualsiasi cosa che risulti essere di servizio al Mishkan è vietato durante Shabbat. Il costruire il Mishkan è profondamente collegato all'osservazione di Shabbat. Come? Sono assoluti opposti. Proprio come noi lavoriamo in maniera creativa per costruire il Mishkan, non dovremmo creare cose di Shabbat.  

Il commento di Rashi ci insegna che proprio come ci sono luoghi sacri, come il Mishkan, vi è anche un momento sacro, come Shabbat.

Rabbi Abraham Joshua Heschel, grande filosofo rabbinico del ventesimo secolo, riconobbe il collegamento fra Mishkan e Shabbat. Egli si riferisce a Shabbat come ad un palazzo del tempo. Nelle sue opere,  Rabbi Abraham Joshua Heschel esplora due dimensioni dell'esistenza umana, basilari e interconnesse : lo spazio e il tempo. Secondo Heschel la vita moderna occidentale è dominata dall’ossessione dello spazio, dal costruire, dal dominare e conquistare cose dello spazio. Ma la vita è vuota, dice Heschel, “quando il controllo dello spazio e l'acquisizione di cose dello spazio diventa la nostra unica preoccupazione”. Egli ci richiama a riconsiderare le nostre priorità e a rilassare il nostro attaccamento alle cose, spostando quindi la nostra attenzione dal palazzo nello spazio al palazzo del tempo.

Heschel si concentra sull'importanza del ruolo di Shabbat nelle nostre vite. Shabbat ci offre l'opportunità di ritirarci temporaneamente dalla nostra routine lavorativa, dal mondo fatto di spazi, e di godere i diversi doni del creato datici da Dio. Heschel descrive Shabbat come un “palazzo del tempo”, la cui architettura è fatta di astensioni volontarie. Proprio come gli israeliti nel deserto si astennero dalla costruzione del Mishkan durante Shabbat, anche noi dovremmo astenerci dal fare affari di lavoro, viaggiare per lunghe distanze, per concentrarci invece su atti di preghiera, di studio, di gioiosi pasti ed a interagire coi nostri cari.

Il Mishkan che viene finalmente completato nella nostra parashà di questa settimana rappresenta lo spazio sacro ultimo. Shabbat fa parte della nostra porzione come ricordo che il nostro focus non dovrebbe essere solo su uno spazio sacro ma anche su un momento sacro. Anche se sembrano opposti, il fatto che Shabbat venga menzionato insieme al Mishkan è normale. Shabbat è il momento sacro mentre il Mishkan è lo spazio sacro. Entrambi ci offrono la possibilità di creare sacralità nella nostra vita. 

Shabbat Shalom

Rabbi Don Goor

Parashat della Settimana: Parashat Tetzaveh:  Esodo 27:20-30:10 2 -6 Marzo 2021

Riassunto:

Nella nostra porzione, i figli d’Israele ricevono l'ordine di portare olio d'oliva per il ner tamid  (una luce che brilla costantemente) presso il santuario. Aronne ed i suoi figli , Nadab, Abihu, Eleazar, e Itamar, vengono scelti come sacerdoti. Dio poi ordina Mosé di creare abiti speciali per i sacerdoti. Infine, Aronne ed i suoi figli ricevono l'investitura in una cerimonia che dura sette giorni ed Aronne viene incaricato di bruciare incense su un altare di acacia ogni mattina e sera.

Lezione:

Un sacro altare con sopra di esso un ner tamid

Un  ner tamid moderno

Da bambino mi trovavo a stare seduto in sinagoga mentre contemplavo la luce eternal. Ma davvero non si spegneva mai? Cosa sarebbe successa se fosse saltata la corrente? Cosa sarebbe successo se la lampadina si fosse fulminata?  Risulta che questi miei pensieri da bambino sulla luce eterna sono la base per un testo nella nostra porzione di questa settimana. Mosé prosegue nel dare istruzioni al popolo sulla costruzione del tabernacolo. Tra le istruzioni, Mosè comanda il popolo di bruciare olio d'oliva per fare luce, “per far si che la fiamma bruci costantemente.” Che importanza aveva questo ner tamid - “la luce eternal” che continua a bruciare in ogni sinagoga nel mondo?

Ci viene insegnato che il fatto che la luce eternal bruci sopra il Aron haKodesh – l'arca che contiene le pergamene della Torah–serve da ricorda che la Torah offre la luce della saggezza per tutti coloro che la studiano. Illumina il nostro cammino che è la vita. Dando un’interpretazione completamente diversa, alcuni rabbini vedono il comandamento di una luce che brucia costantemente come qualcosa che serve Dio piuttosto che gli esseri umani. Secondo loro Dio ha bisogno d’Israele come fonte di luce nel mondo. E’ come se Dio stesse dicendo al popolo d'Israele, “mantenete accesa questa luce in modo che possa vedere la via.”

Secondo altri interpreti, il ner tamid ha un significato completamente diverso. Per molti dei nostri rabbini, la luce eterna serve da ricordo al popolo ebraico di vivere una vita ebraica e compiere mitzvot. Basano questa interpretazione su una frase che si trova nel libro dei proverbi :  “la mitzvah è una lampada; l'insegnamento è la luce.” E’ come se ogni mitzvah compiuta illumini il mondo.

Il popolo ebraico viene spesso chiamato “il popolo eletto”. Siamo stati eletti non per motivi razziali o genetici. Siamo stati eletti per essere “una luce per le nazioni”. Può darsi che la luce eterna serve da ricordo alla missione che ogni ebreo debba offrire leadership morale e religiosa al mondo.

Dai tempi antichi, migliaia di anni fa, quando gli israeliti crearono il primo ner tamid, all’interpretazione artistica della luce eterna nelle sinagoghe di oggi, gli interpreti hanno trovato e hanno dato maggiore significato ad una varietà di messaggi simbolici. Nel contemplare il ner tamid  nella mia sinagoga, la mia preoccupazione fanciullesca si focalizzava sul discorso elettrico e delle lampadine piuttosto che sul messaggio simbolico della luce eterna. Il punto centrale del commento rabbinico è che la Torah continua ad illuminare le nostre vite in quanto ebrei e porta luce in un mondo oscuro. 

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Parsha della settimana Yitro: Esodo 18:1–20:23 - 5 febbraio 2021

Riassunto:

Nella nostra parashà di questa settimana, Yitro, lo suocero di Mosè porta sua figlia Zipporah ed i suoi due nipoti,  Gershom e Eliezer, a trovare Mosé nel deserto del Sinai. Dopo essersi lamentato del peso di giudicare tutte le dispute del popolo, Mosè segue il consiglio di Yitro ed elegge dei giudici per aiutarlo a guidare il popolo. Più avanti, i figli d'Israele si accampano ai piedi del Monte Sinai. Nel sentire le parole del sacro patto, gli israeliti rispondo, “Tutto ciò che Dio ha detto, noi faremo.” Dopo tre giorni di preparativi, gli israeliti incontrano Dio presso il Monte Sinai. Dio elenca i dieci comandamenti a voce al popolo. Terrorizzati, I figli d'Israele chiedono a Mosè di fare da intermediario fra loro e Dio. Mosè dice al popolo di non avere paura.

Lezione:

Quando avevo 15 anni, il deserto del Sinai apparteneva ancora allo Stato d'Israele.Non era ancora stato restituito per via del trattato di pace con l'Egitto. Mi ricordo le ore impiegate prima del tramonto a camminare su per il Monte Sinai. Raggiungemmo la vetta e vedemmo una gloriosa alba che illuminò il deserto con diversi colori. Quando raggiungemmo il campo base era ormai mezzogiorno e crolammo, lamentandoci del dolore ai piedi, della sabbia nelle nostre scarpe ed il caldo del deserto. Quella notte nel mio sacco a pelo mi chiesi “Perché Dio diede la Torah presso il Monte Sinai?” Non poteva scegliere un luogo più facilmente accessibile e meno sabbioso? Possibilmente un luogo che non richiedeva ore di cammino sotto un caldo sole desertico. 

Anche se i rabbini della nostra tradizione non hanno dovuto sopportare quella lunga scarpata su per il Monte Sinai, ma anche loro si sono posti il medesimo quesito : “Perché Dio decise di dare la Torah in mezzo al deserto?”

In due diversi commenti fatti ai tempi del Talmud, la domanda trova una chiara risposta.La Torah viene data nel deserto in modo da rendere chiaro il concetto che le lezioni da essa impartita sono per tutta l'umanità e non solo per il popolo ebraico. 

“E si accamparono nel deserto:la Torah venne data in libertà, in un luogo di dominio pubblico, in un luogo che non apparteneva a nessuno, fosse stata donate nella terra d’Israele, gli ebrei avrebbero detto alle nazioni del mondo : “Nessuna porzione è per voi.” Perciò, la Torah fu data nel deserto, e chiunque la voglia ricevere, può presentarsi per riceverla.”

La Torah venne paragonata a tre cose : il deserto, il fuoco e l'acqua - per insegnarci che proprie come queste cose sono libere, le parole della Torah sono libere per tutto il genere  umano.

mondo.  

…Israele accettò la Torah nel deserto.Questo fatto potrebbe suggerire, tra altre cose…” “Non dite che in questo luogo sia possibile servire Dio, ma in quel luogo sia impossibile per voi.Uno dovrebbe servire Dio in qualsiasi luogo.”

                Se Israele avesse accettato la Torah nella propria terra, la terra d’Israele, avrebbe pensato che sarebbe stato solo possibile realizzare I suoi insegnamenti in quella terra e non quando il popolo si trovava in esilio…Perciò Dio diede loro la Torah nel deserto, durante il viaggio, in modo che la potessero realizzare ovunque.” 

 

Lo sapevate che anche voi avete visitato il Monte Sinai? Non avrete sofferto il caldo e quella tortuosa camminata, ma secondo la nostra tradizione, tutti gli ebrei nati durante la rivelazione insieme a coloro che dovevano e dovranno ancora nascere erano presenti al Monte Sinai e condivisero quel momento sacro del dono della Torah. 

 

La porzione di questa settimana ci ricorda che ovunque noi siamo, continueremo a trovarci presso il Monte Sinai. Torah vivente è in ognuno di noi, e nonostante siano passati migliaia di anni dal momento della rivelazione, la adoriamo e ce ne prendiamo cura. Perché la Torah fu data nel deserto? In modo che ognuno di noi potesse sentire profondamente che gli apparteneva, indipendentemente da chi siamo e dove viviamo.

Shabbat Shalom

Rabbi Don Goor

Parashat 1 Gennaio 2021 Vayechi: Genesi 47:28–50:26

Riassunto:

Nella nostra porzione di Torah di questa settimana Giacobbe benedice i suoi nipoti Ephraim e Manasseh. Un po’ più avanti, sempre in questa porzione, i dodici figli di Giacobbe si trovano al suo capezzale, con il loro padre in punto di morte. Ognuno dei dodici figli riceve una valutazione ed una previsione del proprio futuro. Più avanti ancora, Giuseppe è in lutto per la morte del padre. Giacobbe viene sepolto a Hebron in una caverna presso uno dei campi del Machpelah nella terra di Canaan, insieme ad Abramo. La storia di Giuseppe continua, egli assicura i suoi fratelli di averli perdonati e  promette di prendersi cura di loro e delle loro famiglie. Poco prima di morire, Giuseppe dice ai suoi fratelli che Dio tornerà nella loro terra natia. Infine, i figli d’Israele promettono a Giuseppe che porteranno le sue ossa con loro quando lasceranno l’Egitto. 

Lezione:

Da bambino una delle lezioni che appresi dai miei genitori fu…”non mentire, dì sempre la verità”. Eppure, conosciamo bene la risposta giusta quando il nostro partner ci chiede “Come sto?”. In questo caso ci è permesso dire una piccola bugia. Sappiamo che non dobbiamo mai dire “stai male!” 

Nella nostra porzione di Torah di questa settimana i fratelli di Giuseppe vanno contro l'insegnamento dei miei genitori. In seguito alla morte di Giacobbe e alla sua sepoltura presso Hebron, Giuseppe ed i suoi fratelli tornano in Egitto. I fratelli hanno giustamente timore. Forse Giuseppe stava aspettando la morte del padre per potersi vendicare di loro per tutti i torti che gli avevano fatto. Apprendiamo che gli mandano un messaggio: “Prima di morire, tuo padre ha lasciato queste istruzioni: Direte a Giuseppe “Ti preghiamo di perdonare le offese e le colpe dei tuoi fratelli, che  ti hanno trattato così male.”

Questo messaggio è alquanto strano. In nessuna parte del testo troviamo che Giacobbe abbia mai detto cose del genere. Difatti, Giacobbe era completamente all'oscuro di ciò che i fratelli avevano fatto a Giuseppe. Quindi, perché i fratelli decisero di inventarsi questo messaggio?Perché mentirono? 

La maggior parte dei commentatori è d'accordo che i fratelli mentirono a Giuseppe. I commentatori ci insegnano quando è permesso mentire o meno secondo la tradizione ebraica. 

Nel primo secolo, Rabbi Shimon ben Gamliel, ci insegnò che il quieto vivere era così importante che era permesso mentire per poterlo promuovere. Giustificò la sua posizione utilizzando l'esempio di Giuseppe e dei suoi fratelli. “Mentirono su ciò che il loro padre aveva detto in modo da convincere Giuseppe a non punirli ma ad accettarli, convivendo con loro in pace”. Questa posizione viene sostenuta attraverso tutto il corso della nostra tradizione. E’ chiaro che quando i fratelli alterarono i fatti per preservare la pace fecero la cosa giusta. 

Oltre alla storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, vi sono altri esempi nei nostri testi di come la verità venga alterata per conservare la pace. Quando Dio dice a Sarah che avrebbe avuto un bambino, lei rise, pensandolo impossibile perché come ella disse: “Abramo è un anziano.” Ma per il quieto vivere, Dio mentì ad Abramo sulla risposta di Sarah. Invece di condividere il fatto che Sarah aveva dato dell’anziano ad Abramo, Dio disse che Sarah aveva risposto “Sono anziana.” Anche il Talmud sostiene che questa sia la giusta via. “Per preservare la pace in famiglia anche la Torah permette un alterazione della verità.” Con parole molto chiare, il Talmud recita, “Per preservare la pace puoi mentire.”  

Eppure, nel caso crediate che l’ebraismo ci permetta di mentire quando vogliamo, apprendiamo che questo principio non vale in tutte le situazioni. Nel tredicesimo secolo, nello Sefer Hassidim si parla di una persona che si reca da un finanziatore per un prestito. Il finanziatore non gli vuole fare il prestito. In questo caso mentire per il quieto vivere non è permesso. Il finanziatore deve dire la verità. Dove sta la differenza? Ci viene insegnato che “mentire per preservare la pace è applicabile a fatti già avvenuti ed immutabili, ma non è permesso se ciò riguarda eventi futuri ancora mutabili.” 

Quindi, quando bambini o amici chiedono se vada bene mentire, potete dire loro che, se si trovano dinnanzi ad una situazione che si è già conclusa, allora per il quieto vivere si può alterare il ricordo di ciò che è successo, proprio come fecero i fratelli di Giuseppe nella nostra porzione di questa settimana. Creare fiducia e amore tra parenti è più importante che il raccontare con precisione i fatti del passato, soprattutto quando sappiamo che quei fatti potrebbero arrecare danno ad altri e dividere la famiglia. Invece, quando nel mondo degli affari abbiamo a che fare con altri in vicende che si devono ancora concludere, non dobbiamo mentire.

L’onestà rimane fondamentale nella vita ebraica. Come dice il profeta Zaccaria, “Ogni persona dirà la verità al suo vicino.”

Parashat Vayigash-Genesi 25 dicembre 2020

Riassunto: Genesi 44:18−47:27

La nostra porzione di questa settimana continua con la storia di Giuseppe. Iniziamo con Giuda che prega Giuseppe di liberare Beniamino e si offre di sostituirlo. A questo punto Giuseppe si rivela ai suoi fratelli e li perdona per averlo venduto come schiavo. Nonostante la carestia, il faraone invita la famiglia di Giuseppe a vivere “del grasso della terra.” Giacobbe scopre che Giuseppe è ancora vivo e con la benedizione di Dio, viaggia verso l’Egitto. Con la carestia in espansione, Giuseppe prepara un piano per gli Egiziani in modo che possano barattare il loro bestiame e terreno in cambio di cibo. Gli Israeliti prosperano in Egitto. 

Lezione:  

Ci sono molti modi di apprendere lezioni dalla Torah. Secondo i rabbini, uno dei modi per apprendere una lezione era trovare versi contraddittori all'interno della stessa porzione. Spesso si può apprendere una lezione dalla contraddizione dei due versi. 

In questa porzione troviamo il verso molto strano : “. . .tutti i pastori sono aberranti per gli Egiziani” (Genesi 46:34).  I rabbini si chiedono perché la Torah evidenzi questo verso irrilevante. Ci danno diverse risposte :  

Il grande commentatore Rashi risponde:  Perché secondo gli  Egiziani le pecore sono divinità. Hizkuni, un altro commentatore medievale ci propone un motivo diverso. Gli Egiziani temevano che il loro destino dipendesse dai pastori e che fossero schiavi del gregge. Diversi commentatori contemporanei e tradizionali danno un'interpretazione ancora diversa. Propongono che gli Egiziani fossero vegetariani e non vedevano nessun beneficio nell’avere pecore. In fine, Rashbam, un grande commentatore medioevale aggiunge che gli Egiziani vedevano i pastori come abominevoli semplicemente perché li odiavano. 

Ciò che hanno in comune tutti questi commentatori è la comprensione che il verso rappresenti l’insegnamento che gli Egiziani odiassero una singolo classe di persone-trovavano tutti i pastori aberranti. 

Il secondo verso che vorrei esplorare si trova anch’esso nella nostra porzione di questa settimana. “La vita di Giacobbe era legata a quella di Beniamino” (Genesi 44:30). 

Radak, un grande commentatore medievale interpreta questo verso come il fatto che l'anima del padre e del figlio sono intimamente legate. “Dato il grande amore che Giacobbe ha per Beniamino, l’anima di Giacobbe lo lascerà se i fratelli dovessero tornare senza Beniamino.” David Nozik, un filosofo di Harvard introduce una chiave di lettura maggiormente moderna che porta con sé una lezione universale. Nozik scrive, “Piuttosto che considerarci un semplice “io”, ci ora consideriamo parte di un “noi”. 

Rabbi Brad Artson, un mio amico e collega di Los Angeles propone che il verso ci insegna che “Non scegliamo di provare dolore quando una persona a noi cara soffre, ma soffriamo che ci piaccia o meno…Nell’apprendere che siamo incompleti senza l’altro…rendiamo possibile quel tipo di crescita spirituale, quell’integrare il nefesh di un altro con il nostro, e ciò ci porta il più vicino possibile a scorgere il divino. 

Tutti questi rabbini sembrano d’accordo che nel legare la nostra anima con altre, come fece Giacobbe con Beniamino, eliminiamo i confini che ci separano ed abbiamo quindi il potere di creare un'unione profonda tra noi e gli altri. 

Nel primo verso che abbiamo esplorato, impariamo che gli Egiziani trovano aberranti tutti i pastori. Semplicemente gli Egiziani non sono disposti a credere che anche un solo pastore possa essere una brava persona e che i pastori siano esseri umani creati ad immagine e somiglianza di Dio, proprio come gli Egiziani. 

Nel nostro secondo verso, impariamo che l’anima di Giacobbe era legata a quella di Beniamino, che un essere umano deve andare oltre il proprio ego ed essere disposto a partecipare in una comunità allargata. Ognuna delle nostre anime può essere toccata da quella di un'altra persona. 

Due versi contraddittori ci insegnano due lezioni diverse. Vogliamo essere come gli Egiziani ed odiare un'intera classe di persone per nessun motivo? O vogliamo essere come Giacobbe e Beniamino e comprendere che la nostra anima è legata con quelle di altri che ci circondano? Quando seguiamo l'insegnamento di Giacobbe e Beniamino, quando ci concentriamo sul “noi” universale invece dell’ “Io” individuale, agiamo ad immagine di Dio. Proprio quando ci apriamo all'altro e nel creare rapporti sacri possiamo invitare Dio nella nostra vita e nel nostro mondo.
Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Parashat Vayesh & Miketz 18 dicembre 2020

Vayesh:  Genesi 37:1:40:23 & Miketz:  Genesi 41:1-44:17

(Settimana scorsa ci siamo concentrati su Hannukah – questa settimana recensiremo le porzioni di settimana scorsa e di questa settimana)

 Riassunto:

 Le nostre porzioni si concentrano sulla storia di Giuseppe. Leggiamo del sogno di Giuseppe in cui il grano e le stelle si inchinano a lui.

Incontriamo un uomo misterioso che dirige Giuseppe nei campi. Poi ci viene detto che Giuseppe viene gettato in una fossa per poi essere venduto a dei mercanti da parte dei suoi fratelli gelosi. La nostra porzione ci racconta di un intrigo sessuale nella città di Tamar. In seguito a questo torniamo a Giuseppe ed al suo viaggio in Egitto che lo porta alla casa di Potiphar e a sua moglie. Infine, da una prigione egiziana, Giuseppe si trasforma da prigioniero ad interprete di sogni per molti, tra cui anche il faraone. Nella nostra seconda porzione, Giuseppe si trova in una posizione di potere e dà istruzioni all’Egitto sul come prepararsi per una carestia. In cerca di cibo, giungono in Egitto anche i fratelli di Giuseppe. Giuseppe li riconosce ed organizza un ritrovo forzato che avrà luogo nella porzione di settimana prossima.

 Insegnamento:

 Queste due porzioni includono diverse storie che impartiscono lezioni profonde. Cosa deve fare un ebreo, cosa deve fare un rabbino-così tanti temi, così tante lezioni, così tante opportunità per imparare!

Nel rileggere questa parsha mi sono perso nelle cose macroscopiche, finchè non ho notato quelle microscopiche, in particolare un piccolo verso che viene ripetuto nel corso della porzione. Ho sentito il suo richiamo nella grande ricchezza di questo testo.

Dopo essere stato venduto come schiavo, troviamo per quattro volte le parole: כי יהוה אתו –L’Eterno era con lui (con Giuseppe). I nostri commentatori vedono un problema. Ma Dio non è ovunque? Stiamo parlando di Giuseppe– uno dei nostri antenati, ed un amico intimo di Dio. Questa frase necessita interpretazione!

Ed i nostri rabbini hanno colto la sfida!

In un  Midrash, Rav Huna cerca di risolvere il problema. Lui insegna che il verso significa che “Giuseppe sussurrò il nome di Dio quando lo sentiva essere con lui e quando lo lasciava”. Non è che Giuseppe ricevette trattamenti di favore da parte di Dio…al contrario, Giuseppe coltivò una personale coscienza interna della presenza di Dio. Ripetendo costantemente il nome di Dio ed invocando il suo amore e coinvolgimento, Giuseppe si allenò a vedere il miracoloso nell’ordinario, a provare meraviglia nel mondano. Rav Huna va oltre ancora. Egli insegna che Giuseppe sussurrò il nome di Dio. La sua esperienza religiosa era interna. Non aveva bisogno di dare testimonianza orale della presenza di Dio, lui semplicemente ricordava a se stesso quando lo accompagnava e quando lo lasciava.

L’Eterno era con Giuseppe…in maniera silenziosa, nel sussurrare il nome di Dio, Giuseppe portò Dio nella sua vita quotidiana.

Anche il grande commentatore, Rashi nota il verso e tenta di risolvere il problema in maniera diversa. “Il nome di Dio era spesso e fluente, nella sua bocca.” Per Rashi, Giuseppe parlava ad alta voce di Dio e solo con Dio. Giuseppe condivise il suo grande amore per Dio, la sua voglia di servirlo, facendo sapere ad altri che Dio era costantemente presente nella sua vita. A cosa serve testimoniare ad alta voce? Tramite la sua affermazione pubblica di Dio, Giuseppe può aver portato altri a considerare il proprio rapporto con Dio. Nel parlare di Dio ad alta voce, Giuseppe lanciò una sfida, portando altri a riconsiderare i propri pensieri e di cercare Dio nelle loro vite.

L’eterno era con Giuseppe…in maniera ovvia e pubblica, Giuseppe raccontava della presenza di Dio nel mondo e nella sua vita, e così facendo portò Dio nella propria coscienza ed in quella altrui.

Silenziosa pietà o aperta testimonianza, due interpretazioni di un solo verso. Entrambe insegnano qualcosa. Entrambe ci offrono un modello.

A volte l’Eterno è con noi in maniera silenziosa e personale, quando rappresentiamo l’amore di Dio e seguiamo i suoi insegnamenti, quando ci comportiamo in maniera divina, chiedendo giustizia per i rifugiati, visitando i malati, prendendoci cura dei senzatetto.

 

A volte l’Eterno è con noi in maniere più pubbliche: quando parliamo con Dio. Che questo sia in una sinagoga, durante lo studio di Torah, o nel nostro vivere quotidiano, dobbiamo parlare, condividere, imparare dagli altri nel come concepiamo Dio, come l’ebraismo possa concretizzare questa storia d’amore con il nostro creatore, il nostro liberatore.

“L’Eterno era con lui”. Proprio come Dio fu con Mosè in modo silenzioso e personale, proprio come Dio fu con Giuseppe in modo pubblico e comunale, così possa Dio essere con noi. Che possiamo agire in maniera divina nella vita di tutti i giorni. E che possiamo testimoniare alla presenza di Dio nelle nostre vite.

Shabbat Shalom

Rabbi Don Goor

Hannuka’ 11 dicembre 2020

Qual é il vero miracolo di  Hannukah? 

Alcuni insegnano che Hannukah celebra la miracolosa vittoria militare di un piccolo gruppo di soldati (i Maccabei) dotati di poche armi, che riesce a superare grandi ostacoli ed a sconfiggere  l’armata siriano/greca. In questo caso Hannukah celebra la forza ebraica! 

Alcuni insegnano che Hannukah celebra il primo momento storico di un gruppo di persone nel difendere il diritto di praticare la propria religione. I siriano/greci dissacrarono il tempio di Gerusalemme ed i Maccabei miracolosamente combatterono e riuscirono a ri-consacrare il tempio e riuscirono nuovamente ad offrire sacrifici presso l’altare. In questo caso Hannukah celebra la libertà religiosa. 

Alcuni insegnano che Hannukah celebra il miracolo di una piccola boccetta di olio che durò per otto notti. In un periodo buio nella nostra storia, dopo che l’antico tempio fu dissacrato, grazie al potere miracoloso di Dio i Maccabei riuscirono a mantenere accese le lampade e quindi a tornare a celebrare riti ebraici presso il tempio. In questo caso Hannukah celebra un evento miracoloso e sacro.

Nell’avvicinarci a Hannukah quest’anno, durante un periodo buio della nostra storia e nelle nostre vite, mi chiedo se il miracolo di Hannukah verrà interpretato diversamente. 

Uno degli insegnanti che mi ha particolarmente ispirato fu Rabbi David Hartman.  Anni fa, mentre ero nella sua classe, egli iniziò a discutere che secondo lui il miracolo di Hanukkah non si trattava di una vittoria militare, o di una battaglia per la libertà religiosa e nemmeno di un miracolo divino. No, mi ricordo ancora che  Rabbi Hartman ci insegnò che il vero miracolo di  Hannukah fu il miracolo dell’ottimismo e della resilienza in un periodo di grande incertezza. Rabbi Hartman scrisse : 

“Il miracolo del primo giorno fu espresso nella volontà della comunità di utilizzare una piccolo boccetta d’olio senza nessuna certezza che questa sarebbe bastata a completare la ri-consacrazione del tempio…Il “miracolo” dello storico spirito di sopravvivenza ebraico…trova la sua più grande espressione nella forza del nostro popolo a vivere senza certezza di successo e di concentrarsi sull’iniziare un processo senza sapere come finirà.”

Questo ultimo anno è stato buio. Nonostante la tecnologia e la meraviglia di Zoom, ci troviamo separati dalle nostre famiglie, dai nostri amici, dai nostri cari. Abbiamo perso la possibilità di interagire fisicamente con coloro a cui vogliamo bene a braccia aperte e con caldi abbracci. Eppure, nonostante questo, ci alziamo ogni mattina in attesa di cosa la giornata ci porterà. Nonostante questo, abbiamo comunque onorato le festività a noi sacre e ci siamo trovati ogni settimana per Shabbat.  Come i Maccabei, continuiamo ad accendere la luce nelle nostre vite e nel nostro mondo, senza sapere come andranno le cose. Questa settimana, per otto notti accenderemo le nostre Hannukiyot e porteremo luce nel mondo e questo è un miracolo da celebrare.

Rabbi Donald Goor

Parashat Vayislach 4 dicembre 2020

Vayishlach – Genesi 32:4-36:43
Riassunto:

Nella porzione di questa settimana, Giacobbe si prepara ad incontrare suo fratello, Esaù. Giacobbe lotta con “un uomo”, il quale gli arreca danno e cambia il nome di Giacobbe ad Israele. Giacobbe ed Esaù si incontrano e vanno in pace ognuno per la propria strada. Più avanti durante una violenta colluttazione, Dina viene rapita da Shechem, il figlio di Hamor, il capo di quel paese. I figli di Giacobbe, Simeone e Levi si vendicano uccidendo tutti gli uomini di Shechem, e si aggiungono a loro gli altri figli di Giacobbe nel sacco della città. Infine, Rachele muore dando alla luce suo figlio Beniamino, Rachele viene poi sepolta ad Ephrah (Betlemme). In seguito muore anche Isacco e viene sepolto ad Hebron. Viene poi data la lista della progenie di Giacobbe ed Esaù. 

Lezione:

Migliaia di anni prima della psicologia, i nostri commentatori sapevano che i sogni avevano un significato. Nella porzione di questa settimana, il nostro antenato Giacobbe sa che si sta avvicinando suo fratello Esaù con 400 uomini. I gemelli non si vedono da quando Giacobbe rubò l’eredità ad Esaù, quindi è comprensibile che Giacobbe sia nervoso e timoroso. La notte prima del loro incontro, mentre si trova nel deserto, Giacobbe incontra “un uomo” e lotta con lui fino all’alba. “L’uomo” dice a Giacobbe, “lasciami andare, sta giungendo l’alba.” Giacobbe si rifiuta e ordina “all’uomo” di benedirlo. “L’uomo” chiede il nome a Giacobbe e a lui risponde “D’ora in poi il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poichè hai combattuto con esseri divini ed umani, ed hai vinto.” 

Una storia affascinante di un’incontro di lotta libera con uno sconosciuto, da cui scaturisce la benedizione di un nuovo nome. Per poter meglio comprendere la nostra porzione, la domanda fondamentale è: chi è questo “uomo”? 

Gli antichi commentatori ci insegnano che “l’uomo” era un angelo che apparve sotto forma di un ladro. Il suo scopo era spaventare Giacobbe. Ma Giacobbe si rivelò forte e decise di combattere. Dato il coraggio di Giacobbe, vinse questo incontro di lotta libera e venne benedetto con un nuovo nome.

Altri rabbini vedono questo incontro di lotta come una lotta simbolica fra I due fratelli gemelli, Giacobbe ed Esaù. La loro battaglia simbolizzava l’aspra guerra fra gli ebrei e le nazioni che volevano distruggerli. (Giacobbe rappresenta il popolo ebraico, mente Esaù rappresenta coloro che vogliono distruggerlo) Giacobbe/Israele, avrebbe combattuto nel corso dei secoli con le altre nazioni, a volte rimanendo ferito, ma emergendone sempre sicuro, forte e vittorioso. 

I commentatori moderni propongono che questo incontro di lotta ebbe luogo durante un sogno nella mente di Giacobbe. Prima che potesse incontrare suo fratello, Esaù, avrebbe dovuto lottare contro la propria colpa di avergli rubato l’eredità. Una lotta nella coscienza di Giacobbe per ciò che aveva fatto. Giacobbe lottò per diventare una persona migliore, giusta ed amorevole. Solo dopo essere diventato Israele, Giacobbe fu pronto a riconciliarsi con Esaù. 

Elie Wiesel va oltre questa prospettiva. Quest’ultimo scrive che la lotta notturna fu quando “si unirono due Giacobbe”. Giacobbe lotta contro chi è in realtà, una persona piena di dubbi e rimorsi o un leader coraggioso e di successo. Dopo aver combattuto contro se stesso, lascia la lotta con un nuovo nome, Israele, qualcuno che ha lottato contro se stesso ora diventato il fondatore di un popolo, pronto a lottare contro il mondo. 

La Torah non ci dà una risposta. Rimaniamo col mistero, chi è “l’uomo” contro cui lottò Giacobbe? 

Personalmente amo quando la Torah ci lascia con un mistero. Apre all’immaginazione, permettendoci di vedere ciò che vogliamo coi nostri occhi e giungere a conclusioni personali. 

La psicologia moderna ci insegna che è naturale che una persona combatta contro tutte le tendenze in conflitto nelle nostre anime. Ognuno di noi ha la possibilità di portare il bene o il male nel mondo. Dobbiamo continuamente lottare contro i vari aspetti del nostro carattere.

Come Giacobbe, prego affinchè saremo coraggiosi abbastanza a prepararci a lottare contro tutti ciò che troviamo nelle nostre anime. E come Giacobbe, che la nostra lotta ci possa portare ad una maggiore comprensione di chi siamo, per poi portarci a delle benedizioni.

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

 

Parashat Vayetzei - Genesi 28:10−32:3 27 novembre 2020

Riassunto:

Nella nostra porzione di Torah di questa settimana Giacobbe sogna angeli che salgono e scendono su una scala. A conclusione del sogno, Dio lo benedice e Giacobbe dà il nome di Bethel (casa di Dio) al luogo dove ha riposato. Giacobbe lavora per sette anni per poter sposare Rachele, ma il padre di lei, Laban, inganna Giacobbe facendogli sposare Leah, sorella maggiore di Rachele.  Giacobbe sposa anche Rachele, ma solo dopo aver consentito di lavorare altri sette anni per Laban. Leah, Rachel, e le loro serve, Bilhah and Zilpah, partoriscono undici figli ed una figlia. Infine Giacobbe e la sua famiglia lasciano la casa di Laban con grandi ricchezze.

Lezione:

Durante la nostra porzione di Torah, Giacobbe si accampa per una notte nel deserto. Sogna una scala che dal cielo porta alla terra su cui gli angeli di Dio salgono e scendono. Più avanti nella porzione, Giacobbe racconta alle sue mogli Rachele e Leah, che ebbe un sogno in cui un angelo gli disse che il suo gregge stava crescendo e che era ora di tornare a casa.

La Torah menziona gli angeli più volte. Quando Hagar si trova sperduta nel deserto, un angelo le dona conforto. Abramo da il benvenuto nella sua tenda a tre angeli.  Alcuni angeli fanno visita a Lot a Sodoma e gli dicono di lasciare la città prima che sia troppo tardi. Nel momento in cui Abramo sta per sacrificare suo figlio Isacco, compare un angelo che gli ordina di fermarsi. Quando Mosé si trova preso il roveto ardente, gli parla un angelo e gli dice di liberare il suo popolo dalla schiavitù.

Osservando l’arte in cui sono raffigurati questi ed altri eventi biblici, vediamo che gli angeli sono spesso Cherubini, piccole creature alate con gote rosse. Cosa dice la tradizione ebraica sugli angeli?

La parola ebraica per angelo, Malach, signifca messaggero. Gli angeli nella Torah non sono descritti nè come creature alate nè con le gote rosse, ma più come messaggeri di Dio.

Nell’ebraismo percepiamo gli angeli in più maniere. Può darsi che gli angeli siano esseri che vivono fra Dio e l’umanità.  Nel libro dei salmi, leggiamo : “Che cos’è l’uomo.. che tu hai creato inferiore agli angeli?” Nel Talmud gli angeli hanno un ruolo importante, cosi importante che Dio si consulta con loro prima di creare il mondo. Alcuni insegnano che gli angeli vivono un giorno solo. Sono creati la mattina, lodano Dio tutto il giorno per poi morire la sera. Sappiamo dal Shalom Aleichem che gli angeli ci accompagnano ogni venerdì sera quando iniziamo la funzione di Shabbat.

Maimonide, teologo razionale, scrisse che gli angeli erano forme d’intelligenza, agenti tramite le quali Dio regnava sul mondo. Secondo Maimonide le noste menti sono aperte a messaggi che Dio può instillare in noi, facendo angeli delle nostre menti tramite le quali Dio ci può ispirare con nuove idee e visioni.

 

Dalla nostra porzione di Torah, impariamo che gli antichi autori credevano agli angeli in quanto presenze fisiche, capaci di poter accedere al nostro mondo ed influenzare noi e le nostre azioni. Autori moderni propongono l’idea che gli angeli siano semplicemente un modo drammatico per esprimere i pensieri dei personaggi umani. Può darsi che vogliano proporci il concetto che nel suo sogno Giacobbe stesse lottando contro l’incognito, cercando di identificare il suo ruolo nel mondo, fra cielo e terra. Sembra molto probabile che gli angeli fossero voci amiche in lui, che lo stessero assistendo nella sua lotta.

Possiamo dare agli angeli l’aspetto che per noi ha maggior significato. Chiaramente donano colore e spessore alla nostra tradizione!

Parashat Toldot – Genesi 25:19−28:9 20 novembre 2020

Toldot – Genesi 25:19−28:9

Riassunto:

Nella nostra porzione di Torah questa settimana, Rebekah dà alla luce due gemelli, Esaù e Giacobbe. Più avanti nella porzione, affamato dopo una battuta di caccia, Esaù concede a Giacobbe il diritto di primogenitura in cambio di un po’ zuppa. Più avanti ancora, ormai prossimo alla morte, Isacco si prepara a benedire Esaù, il suo primogenito. Isacco viene ingannato da Giacobbe e da Rebekah, così che è Giacobbe a ricevere la benedizione. Esaù minaccia di uccidere Giacobbe, il quale fugge verso Haran 

Insegnamento:

Evan ed io abbiamo la menorah di Hannukah preferita su uno scaffale a casa nostra. Me la diede mio padre prima di morire e mi sussurrò all’orecchio che si trattava di un’opera d’arte, il cui valore si aggirava attorno ai $35,000.  Wow.  Sono tanti soldi. Quando siamo andati per farla stimare risultò essere una replica, e quindi il suo valore era ben lontano dai potenziali $35,000 attribuitele da mio padre. Mi rendo conto, guardando questa menorah sul mio scaffale, che il suo valore monetario non è importante. Questa menorah di Hannukah ha valore perché è un dono di mio padre prima di morire.

Quando ci guardiamo attorno, vediamo che vi sono diversi oggetti di nostra appartenenza che hanno un valore sentimentale che va ben oltre il loro valore monetario. E’ importante conoscere questa differenza.  

Siti web come Ebay e Craigslist sono pieni di di oggetti personali in vendita da parte di proprietari che potrebbero essere angosciati, se non addirittura addolorati, a venderli. Molta gente vende oggetti personali. Pubblicità che promuovono lo scambio di oro verso denaro sono ovunque. Tutto sembra negoziabile. 

Nella nostra porzione di Torah, Tol'dot, Esaù torna a casa disperatamente affamato in seguito ad una lunga battuta di caccia e finisce per vendere i diritti della sua primogenitura per nulla, senza considerarne nè il valore sentimentale nè reale. La Torah descrive Esaù come un uomo che agisce in fretta, credendo di trovarsi in circostanze disperate.  

Nelle culture antiche la primogenitura era un privilegio speciale dato al primogenito maschio di qualsiasi patriarca. Con la morte del padre, il primogenito riceveva una “doppia porzione” di eredità, il doppio rispetto a ciò che avrebbero ricevuto i suoi fratelli. Questa eredità non era di natura economica, era di comando. Avere la primogenitura significava diventare il nuovo patriarca della famiglia. Significava dominare sui propri fratelli, e la linea padronale sarebbe continuata attraverso il primogenito. In sostanza, il diritto di primogenitura nacque per assicurare il futuro della famiglia.

Le azioni di Esaù ci portano a chiederci: Vi sono cose che non vendereste mai, nonostante le circostanze? Se la vostra situazione divenisse talmente difficile da trovarvi ad un bivio tra il baratro ed una decisione molto difficile, cosa non vendereste, indipendentemente dal danno che vi potrebbe arrecare?  

Ci sono certe cose che non dovrebbero mai essere in vendita, ad esempio l’integrità, o la libertà o l’amore, queste cose non dovrebbero avere un prezzo, e nè dovrebbe avere un prezzo il corpo di un essere umano.

La storia di Giacobbe ed Esaù ci ricorda che certe cose non dovrebbero essere in vendita e quella decisione impulsiva, fatta durante un periodo di ansia, potrebbe avere risultati devastanti nel futuro. Vi sono diversi esempi di come questo evento si ripete nella storia e nelle nostre comunità.  

-L’uomo d’affari che compromette la propria integrità per fare profitti più alti, quando a farne le spese sono i salari ed il trattamento dei suoi impiegati.

-Il leader rispettato che vende la propria carriera e la sua famiglia per il piacere momentaneo di una relazione extraconiugale.

 -L’adolescente che rovina il proprio futuro facendo uso di stupefacenti solo perché “lo stanno facendo tutti.”

-L’autista che ignora il buon senso mettendosi dietro al volante dopo una serata “alcolica” e finisce per distruggere una vita in un incidente stradale.

Vi è sempre un motivo per cui ci si vende. La domanda è se ci stavamo pensando bene prima di farlo. La domanda ultima è: Cosa determina il valore di ciò che stiamo per vendere ed il valore di ciò che siamo? Lasceremo che siano Dio e la nostra tradizione a guidarci o permetteremo alle circostanze di determinare la nostra decisione di fare qualcosa di cui sentiamo di avere bisogno? Vi sono valori che non hanno prezzo, l’integrità innanzitutto. 

La storia di Giacobbe ed Esaù ci ricorda che tutto ha valore-sia sentimentale che reale-e che tutto può o potrebbe essere venduto. Ci ricorda anche di non prendere Giacobbe ed Esaù ad esempio. Vi sono cose che non andrebbero vendute. Vale la pena preservare la nostra integrità per noi stessi e per i nostri figli, a qualsiasi costo!

Shabbat Shalom

Rabbi Donald Goor

Parasha della settimana: Chaye Sarah 13 Novembre 2020

Chaye Sarah:  Genesi 23:1-25:18

Riassunto:  

Nella nostra porzione di Torah di questa settimana, Abramo acquista la caverna di Machpelah, in Hebron,  modo da poter seppellire sua moglie Sarah. Abramo poi mando il suo servo nella sua terra natia per trovare una sposa per Isacco. Il servo incontra Rebekah la quale gli dimostra grande gentilezza nell’offrire di servigli acqua dal pozzo per lui ed i suoi cammelli. Il servo poi conosce la famiglia di  Rebekah e la porta poi ad Isacco, il quale la sposa. Abramo muore all’età di cento settanta cinque anni. Isacco ed Ismaele seppelliscono loro padre nella caverna di  Machpelah insieme a sua moglie Sarah. 

Lezione:

Le app di incontri ignorano il famoso detto che “La bellezza è solo superficiale” In questa app muoviamo il dito a sinistra o a destra basandoci su di una foto di profilo. La nostra porzione di Torah ci insegna che la bellezza va oltre un bel viso. La bellezza è molto di più. La bellezza include il fatto di avere una bella mente, un bel cuore ed una bella anima. 

Nella nostra porzione di Torah, in seguito alla morte di Sarah , Abramo invia un suo servo nella sua terra natia per trovare una sposa per suo figlio Isacco. La sfida per il servo è alquanto ardua. Come si fa a trovare la sposa adatta? Che metri di giudizio vengono utilizzati? Come si può giudicare se la persona scelta sarà una brava moglie? 

Quando il servo giunge presso la terra natia di Abramo, Aram, incontra Rebekah presso un pozzo. La Torah descrive la donna come  “tovat mareh – molto bella.”  Di primo acchito, sembra che il servo muove il pollice nel verso giusto, basandosi semplicemente sul fatto che Rebekah è attraente!  Detto questo, una lettura più attenta ci insegna che il servo trovò Rebekah attraente per motivi completamente diversi. 

I nostri commentatori rabbinici ci insegnano che la bellezza di Rebekah era evidente nelle sue azioni. Primo, diede da bere al servo, poi tornò nuovamente al pozzo per dare da bere ai suoi animali. I commentatori aggiungono che Rebekah fece grande attenzione a come parlava, mostrando affetto sia per il servo che per i suoi animali.

Per i nostri commentatori, Rebekah è“tovat mareh”.  Non è solo bella fisicamente, ma è anche una bella persona. E’ gentile e premurosa verso il servo anche se è un estraneo. Prende in considerazione i suoi sentimenti ed è attenta a come gli parla. E la sua premura è anche rivolta agli animali del servo. 

E’ interessante notare che la Torah non descriva il modo in cui Rebekah è vestita. La sua bellezza non è nel come appare. I dettagli della Torah si concentrano su come Rebekah tratta gli altri, come gli parla, il modo in cui offre ospitalità, e come è disposta ad aiutare un estraneo in visita nella sua terra. 

Oggi giorno ci soffermiamo spesso a livello superficiale, su ciò che è visibile, su ciò che ci attrae. Rebekah, nella nostra porzione di Torah, ci insegna che la bellezza nell’ebraismo va ben oltre l’apparenza. Senza sapere nulla sul conto del servo e chi fosse il suo padrone, Rebekah lo tratta con pura gentilezza. Essa rappresenta cosa vuol dire agire con bellezza. Rebekah è generosa, gentile e premurosa. Sono queste qualità che la resero attraente al servo. Sono queste qualità che Rebekah diventerà una delle matriarche del nostro popolo.
Shabbat Shalom

Rabbi Don Goor

Parasha della settimana: Lech Lecha – Genesi 12:1−17:27 - 30 Ottobre,2020

Riassunto : 

Abramo, Sara e Lot iniziano il viaggio verso Canaan. La carestia li porta in Egitto. Ad un certo punto le strade di Abramo e Lot si dividono. Lot viene rapito ed Abramo lo salva. Abramo e la sua schiava Hagar hanno un figlio, Ismaele. Dio stabilisce un patto con Abramo, il cui simbolo è la circoncisione fatta l’ottavo giorno di vita di un figlio maschio.

Lezione:

Ai tempi della Torah non si facevano campagne politiche. Abramo e Sara non erano in competizione per una posizione politica. Non venne chiesto loro di essere i fondatori del popolo ebraico. Perché Dio diede questo ruolo importante ad Abramo? Perché Abramo? La Torah non ci dà una risposta. Ciò nonostante I rabbini si pongono questa domanda importante e nel Midrash si danno diverse risposte.

I rabbini ci insegnano che Abramo era speciale perché faceva buone domande, domande perspicaci, domande coraggiose. Da bambino mi venne insegnata la fiaba rabbinica di Abramo e il negozio di idoli di suo padre. Abramo chiese a suo padre come idoli fatti di legno e pietra potessero essere considerati divinità. Si chiese come statue di legno e pietra potessero creare il mondo. Un giorno inscenò una battaglia tra gli idoli in casa di suo padre in cui gli idoli si distrussero a vicenda. Quando suo padre si arrabbiò vedendo la distruzione ed accusando Abramo di aver distrutto gli idoli, Abramo rispose “Non sono stato io-sono stati gli idoli!” Suo padre rispose “Sai bene che non possono farlo!” “Aha,” rispose Abramo.  “Come puoi venerare degli idoli che non hanno nemmeno la forza di distruggersi?!”

I rabbini ci insegnano anche che Abramo era una persona giusta ed amorevole. Nel Midrash Abramo viene descritto come un uomo di valori profondi. Nel mondo degli affari, i suoi prezzi erano sempre onesti. In tempi di difficoltà la gente gli chiedeva consigli. Quando gli veniva detto che qualcuno si era ammalato, non solo offriva una preghiera per la sua guarigione, ma teneva fede al comandamento di visitare i malati, facendoli stare meglio grazie al suo amore e alle sue premure.

Vi è una storia rabbinica che racconta che Abramo evitava di ubriacarsi o di eccedere di gola. Invece di circondarsi con amanti degli eccessi, Abramo si circondava di persone che consideravano ogni loro azione. Abramo cercava di associarsi a persone che tenevano alla terra, agli altri ed al futuro.

Perché ebbe l’onore da Dio di essere il fondatore e condottiero del popolo ebraico? Perché era saggio e disposto a fare domande difficili. Perché aveva a cuore la decenza e l’empatia. Perchè si rifiutò di vivere una vita dissipata e invece si dedicò ad investire nel futuro.

Siamo fortunati di poter considerare Abramo un nostro antenato. Nel guardare i leader di oggi, dovremmo seguire le orme di Dio e scegliere coloro che vivono secondo i suddetti valori centrali.