Blog della URJ di questa settimana:
Forse più di tutti i patriarchi, Giacobbe è quello che soffre maggiormente con l’invisibile. Sogna, concepisce e lotta contro l’incognito. Vede, guarda la sua nemesi negli occhi della sua nemesi, del suo nemico e vede il volto di Dio. Il suo viaggio è un vagare spirituale verso la scoperta e l’autocoscienza. Vede il futuro e in definitiva è una forza unificante che attualizza il futuro.
Rabbi Jonathon Sacks, z'l, si pone una domanda importante:
Cos’è che rese Giacobbe - non Abramo o Isacco o Mosè - il vero padre del popolo ebraico? Veniamo chiamati “la congregazione di Giacobbe”, “i figli d’Israele”. Giacobbe/Israele è l’uomo il cui nome portiamo. Eppure Giacobbe non iniziò il viaggio ebraico, fu Abramo. Giacobbe non dovette affrontare prove come Isacco. Non condusse il popolo ebraico fuori dall’Egitto o lo portò alla Torah. Senza dubbio, i figli di Giacobbe rimasero parte della fede ebraica, a differenza di Abramo o Isacco. Ma ciò porta la domanda originaria indietro di un punto. Perché Giacobbe riuscì ad avere successo mentre Abramo e Isacco fallirono? “La Luce in Tempi Oscuri” (Vayetse 5781)
La tradizione rabbinica vede Giacobbe come un visionario che può anticipare il futuro e che comprende profondamente l’animo umano.
Prendete ad esempio il sogno presente nella porzione di Torah di questa settimana:
“Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa... Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo»." (Genesi 28:12-17).
Midrash Rabah ci insegna che la scala di Giacobbe è in realtà una vision del Monte Sinai. I rabbini contano il valore numerico delle lettere che formano la parola “scala”, in ebraico sulam, e la parola “Sinai”. Entrambe hanno un prodotto di 130. In questa interpretazione del sogno, Giacobbe è un visionario; anticipa il momento in cui il popolo vagante diventerà una nazione attraverso la condivisione di storie, ricordi, ed un obbligo divino di seguire una serie di leggi, regole, e un sistema etico profondamente significativo. Vede la montagna che collegherà il cielo alla terra.
Secondo Rabbi Solomon ibn Gabirol, poeta e commentatore rabbinico dell’undicesimo secolo, la scala e gli angeli nel sogno di Giacobbe riflettono la natura spirituale della condizione umana. Secondo Gabirol, Giacobbe credeva che la nostra anima desidera essere vicina a Dio. L’ascesa spiritual è possibile e gli angeli nel sogno rappresentano la saggezza che acquisiamo nel praticare un vivere spirituale.
Ibn Ezra, un altro commentatore biblico sefardita dell’undicesimo secolo, rigetta la spiegazione di Gabirol insieme alle altre interpretazioni del sogno di Giacobbe quando dice:
“Apparentemente questi commentatori non hanno studiato le profezie di Zaccaria, Amos e Geremia. Per interpretare il sogno di Giacobbe bisogna vederlo come una parabola. Ci insegna che nulla è occultato da Dio e che ciò che succede in terra è contingentato dal cielo”.
Queste tre spiegazioni iniziano a formare una risposta alla domanda di These Rabbi Sachs. Giacobbe è un profeta che vede il futuro e prevede il Sinai. E’ un insegnante che ci mostra i desideri spirituali del cuore umano. E’ un teologo che ci spiega la natura del rapporto fra Dio ed il popolo ebraico.
Indipendentemente dall’insegnamento a cui ci possiamo rapportare, Giacobbe viene descritto come un leader visionario, uno che ispira il nostro popolo e che ci unisce. Il suo nome diventa omonimo con il nostro popolo, diventiamo i figli d’Israele.
Il sogno di Giacobbe e Giacobbe stesso ci ispirano. Veniamo ispirati dalle sue imperfezioni, perché ci mostrano che possiamo vacillare ma trovare comunque uno scopo. Veniamo ispirati dal suo viaggio. Veniamo ispirati dalla sua lotta. E veniamo ispirati dalla sua perseveranza.
Giacobbe è un leader ispiratore.
Una leadership ispiratrice è attraente al nucleo di chi siamo, tocca profondamente ciò che è essenziale in vita. Risveglia il desiderio di un significato e di uno scopo che alberga nel nostro cuore, risvegliandoci dal letto della compiacenza e sblocca la meraviglia e l’entusiasmo che vivono silenziosamente nel nostro cuore. Ci motiva a vivere e ad agire con uno scopo, come se le nostre azioni significassero qualcosa.
Siamo testimoni di ciò che è possibile, nonostante altri lo considerino meramente probabile. Ci ricordiamo di non essere soli, nonostante il nostro viaggio in vita paia solitario. Ci ricordiamo che siamo stati chiamati alla vita e che siamo chiamati a servire il grande Mistero, e perciò dobbiamo al mondo, o all’umanità o al grande Mistero una parte di chi siamo. Ci ricordiamo che la nostra vita conta.
E lottiamo contro forze invisibili contro noi stessi:
Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!»… Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel «Perché - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva.» (Genesi 32:29-31).
Giacobbe prevalse.
Che possiamo prevalere.
RABBI KARYN D. KEDAR