Blog della URJ di questa settimana:
La storia di Giuseppe è fatta di eroismo, perdono e redenzione. La sua storia non è fatta di vittimizzazione e sconfitta. Giuseppe è un sognatore, un visionario, un uomo saggio e nulla del ricevuto male ha soffocato ciò. I suoi sogni sono premonitori e diventano realtà. Diventa re di una terra e riesce a superare sette anni di carestia. Giuseppe non usa la sua posizione di potere per vendetta ma per applicare riforme agricole che salvano l’Egitto.
Egli è anche un potente insegnante di quella forza elusiva, complicata e di trasformazione che chiamiamo perdono. Anche se vittimizzato, Giuseppe non è una vittima. Anche se viene estraniato dalla sua famiglia, non si dimentica delle proprie radici. Anche se viene ridicolizzato per i suoi doni, continua a nutrire le sue abilità uniche. Giuseppe diventa l’eroe della propria vita e perciò eroe del nostro popolo.
Il perdono è un processo complesso. Non siamo mai obbligati a condonare un cattivo comportamento. Quando si presente un’azione o una parola o una manipolazione o un’offesa , non siamo obbligati a dire che va bene o che non ha importanza. Non sempre il perdono porta alla riconciliazione. A volte quando un rapporto interpersonale è difficile, ostile o tossico, perdoniamo e ce ne andiamo-non perché chi ci offende se lo merita ma perché è cosi. Non ci scordiamo e non perdoniamo.
Il ricordo fa parte della nostra tradizione. Quando vogliamo onorare una persona che non c’è più diciamo “che il suo ricordo sia una benedizione”. Quando ci ricordiamo di una persona che ha commesso delle atrocità, diciamo “che il suo ricordo sia cancellato”. I mali del mondo vengono ricordati in modo che possiamo imparare ad essere migliori, in modo che possiamo riservare un posto di amore nei nostri cuori per le vittime, che possiamo essere più saggi nell’identificare quando il male alberga tra di noi. No, non ci dimentichiamo.
Eppure, nonostante le complessità, difficoltà e rabbia, è meglio trovare una via verso il perdono. Il perdono è un dono che diamo a noi stessi. Iniziamo a liberare la rabbia ed il risentimento che occupano cosi tanto spazio nella nostra anima. Con il perdono iniziamo il lungo processo di guarigione. Quando è possibile e appropriato, è meglio vivere con morbidezza piuttosto che con durezza lasciare andare piuttosto che stringere, e aprire i nostri cuori alla bellezza del nostro mondo.
Questo è ciò che sceglie di fare Giuseppe. E’ la carestia che porta i suoi fratelli presso la corte di Giuseppe in Egitto. Ma è il perdono che unisce i cuori dei fratelli. In una storia elaborata fatta di intrigo e travestimenti, Giuseppe mette i suoi fratelli alla prova. Non lo riconoscono. In seguito Giuseppe rivela la sua identità in una catartica resa dei conti, che porta alla riconciliazione.
“Giuseppe non poté più contenersi davanti a tutto il suo seguito, e gridò «Fate uscire tutti dalla mia presenza!» Nessuno rimase con Giuseppe quando egli si fece riconoscere dai suoi fratelli. Alzò la voce piangendo; gli Egiziani lo udirono e l'udì la casa del faraone. (Gen 45:1-2).
Molti di noi hanno pronunciato quel grido primordiale nel cuore della notte. Preghiamo di essere ascoltati, di essere visti e di essere compresi. Giuseppe non soffoca la propria ansia. La via verso il perdono e la riconciliazione passa attraverso il dolore che alberga nel suo cuore. E poi Giuseppe fa una domanda sorprendente: “Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Io sono Giuseppe; mio padre vive ancora?» “ (Gen 45:3). Inizialmente questa domanda può sembrare retorica, poiché sa che suo padre è ancora vivo. Forse si sta chiedendo se il nesso che una volta univa lui ed i suoi fratelli è ancora vivo. Il nesso tra il nostro passato e di conseguenza il nostro destino ebraico è ancora vivo? Tutto è perduto a causa dei peccati del passato o una riconciliazione è ancora possibile? Ha'od avi chai, mio padre vive ancora?
La via verso il perdono e la riconciliazione è difficile. Giuseppe non è conscio che ciò che successe fu il destino perpetuantesi nella sua storia personale. “Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di avermi venduto perché io fossi portato qui; poiché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita.” (Gen 45:5-7).
Una liberazione straordinaria. Il perdono richiede una decisione di vivere con meno dolore, meno rimpianti e molto amore – perché tutti ci sforziamo per vivere una vita più dolce.
INCROCI PERPETUI
Cammino piano su una strada di legno e umida.
Perlopiù guardo giù
e vedo che la terra sotto ai miei piedi
è fatta di terriccio soffice, muschio dolce,
e ovviamente foglie cadute, che,
come angeli, sono cadute a terra
formando una strada illuminata nel bosco.
E per ogni burrone incontrato,
per ogni fiume burrascoso o valle profonda,
compare un ponte.
Sembra che vi sia sempre
un via per attraversare,
un modo per superare la paura, la tristezza,
la delusione.
Vi è sempre una via.
Forse il bene è quel ponte, oppure la bellezza è quel ponte.
L’amore è quel ponte.
Il perdono è quel ponte.
Di questo sono sicuro:
la via è eterna –è la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni.
Ed il ponte è eterno-
ci sono molti modi per attraversare ciò che pare impossibile.
Sassi nel fiume, corde sospese, assi di legno,
archi di acciaio di amore, pazienza, accettazione
e perdono.
RABBI KARYN D. KEDAR