Blog della URJ di questa settimana: D'VAR TORAH BY: RABBI SARAH BASSIN
Gli ebrei sono esperti di nostalgia…Ci ricordiamo della pittoresca vita in una shtetl isolata da estranei. Bramiamo la sovranità dell’antica Israele, dove eravamo padroni del nostro destino, indisturbati da altre nazioni.
Ma come ci ricorda Rabbi Rachel Adler: “non vi fu mai un periodo in cui l’antica regione israelita o l’ebraismo seguente non furono influenzate dalle culture e dalle religioni che incontrarono.”
Essere ebrei significa mescolarsi con gli altri. Nell’antichità ci demmo il nome ebrei, iv’rim — coloro che attraversano i confini. Per gran parte degli ultimi duemila anni abbiamo vagato per il mondo, adottando elementi delle culture ospitanti. Oggi affrontiamo la questione di un’assimilazione più completa della cultura dominante che ci circonda. In ogni momento siamo stati giudicati su come ci rapportiamo con gli altri. E ciò ci rende nervosi.
Potremmo desiderare il tempo in cui eravamo liberi da influenze esterne. Ma una nostalgia per questo tipo di epoca è una nostalgia inesistente.
Dovremmo smettere di vedere gli incontri con “l’altro” come qualcosa di problematico e vederli invece come opportunità. Come sarebbe se la storia che ci raccontiamo sull’altro fosse una in cui i nostri incontri ci rendono più forti?
Ci sono precedenti sostanziali per questa narrativa, con Mosè nella porzione di Torah di questa settimana, Parashat Yitro. Mosè fa fatica a guidare il popolo ebraico. Si sente esausto nell’ascoltare la litania di casi che gli vengono presentati in quanto unico giudice per l’intera comunità ebraica. Non riesce a risolvere la situazione né per sé stesso né per il suo popolo, e non sa neanche da dove cominciare. Il momento in cui incontra suo suocero midianita Yitro è un momento clou per Mosè. Egli raccoglie il consiglio di Yitro sul come strutturare la comunità israelita.
Yitro dice a Mosè, “Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà una questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te.” (Esodo 18:22-24).
Fu un sacerdote pagano a salvare la nostra comunità dall’implosione, dandoci un suggerimento che funzionava.
In quel momento, Mosè poteva rifiutare il consiglio di suo suocero. Dopo tutto, che conoscenza o credibilità ha un estraneo per ciò che riguarda la nostra comunità per dirci come gestirla?
Mosè ci insegna che l’incontro con “l’altro” può essere una risorsa volta alla nostra evoluzione e non un ostacolo alla nostra sopravvivenza. Questo incontro tra fedi rese Mosè un leader migliore. A volte abbiamo bisogno di un suggerimento dall’esterno per mostrarci ciò che è possibile per noi.
Io stesso ebbi il mio momento “Yitro” alcuni anni fa. Nel Dicembre del 2015, assistetti ad uno studio biblico presso la chiesa Emanuel AME Church a Charleston (Carolina Del Sud), sei mesi dopo un attacco suprematista che causò la morte di nove membri di quella comunità. Rimasi scioccato nel vedere una chiesa unita nel perdono. La loro forza veniva dal fatto che Gesù perdonò i suoi aguzzini. La comunità applicò questo modello alle loro vite per perdonare un assassino. Si rifiutarono di permettere che l’odio potesse pervadere i loro cuori.
Ero invidioso di questa disposizione spirituale al perdono. Mi fece rendere conto della assoluta trascurabilità del rancore che serbavo per torti che mi erano stati fatti.
Quella comunità cristiana facilitò una svolta spirituale a cui non sarei arrivato da solo. Mi fece prendere maggiormente sul serio il linguaggio del perdono che già esiste nell’ebraismo. Consultai dei testi ebraici, mi misi a studiare. Feci del mio meglio per implementare dei cambiamenti nella mia vita. Un incontro con dei cristiani mi rese un ebreo migliore.
Nel corso del mio lavoro interconfessionale ho assistito a diversi incontri stile Yitro. Ho visto ebrei desiderare un rapporto maggiormente personale con Dio, come viene naturale a molti musulmani. Ho visto musulmani desiderare una cultura del dibattito a livello di testi sacri, come gli ebrei. Questo fenomeno è una sorta di “invidia sacra”. Il concetto è che le nostre vite e la nostra tradizione possono essere arricchite dall’imparare dalla fede, dalla spiritualità e dalle azioni dell’altro.
Ci siamo abituati a raccontarci storie negative sul nostro rapporto con l’altro. L’altro ha cercato di sconfiggerci, di espellerci e di ucciderci. Storicamente vi è verità in tutto ciò, ma è solo la metà della narrativa. Credo che possiamo beneficiare del bene che viene taciuto e che risulta dai rapporti con l’altro.
Il rapporto di Mosè con Yitro ci ricorda che una trasformazione per via dell’altro non è estranea alla nostra tradizione. Rappresenta il nucleo fondativo su cui venne costruita la nostra comunità. Per troppo tempo ci siamo raccontati che “l’altro” fosse fonte di timore. Quel timore ci ha reso ciechi alla possibilità di aver bisogno “dell’altro” per essere ebrei migliori.