12 Giugno: Beha’alocha – Numeri 8:1-12:16
Riassunto: Gli ebrei continuano la loro traversata del deserto. Dio dice a Mosé di dire ad Aronne di accendere la menorah e di mantenerla costantemente accesa. Troviamo una discussione del secondo Pesach e dei suoi sacrifici. Impariamo anche che il tabernacolo è coperto da una nuvola durante il giorno e da fuoco durante la notte e, in un tema ricorrente, la gente si lamenta e si ribella! Alla fine della porzione 70 anziani vengono scelti per assistere Mosè, dato che il peso di essere capo è troppo per una sola persona.
Lezione: Il popolo di Israele possiede grande Chutzpah. Hanno davvero del fegato. Non era trascorso tanto tempo, secondo la Torah, da quando il popolo vide Dio in azione sotto forma delle 10 piaghe d’Egitto. Poi il popolo si trovò presso la riva del Mar Rosso e vide la divisione delle sue acque. Arrivando al deserto del Sinai, il popolo si lamentava per la fame e Dio rispose dandogli la Manna ed acqua fresca, con una doppia porzione di queste due a Shabbat! Più tardi il popolo si trovò ai piedi del monte Sinai e ricevette il più grande dono di Dio-– la Torah. Ed ora, mentre continuano a vagare nel deserto, si lamentano di nuovo. “Stavamo meglio in Egitto. Ci ricordiamo la carne, Il pesce, i cetrioli, i meloni, i porri, le cipolle e l’aglio. Ora i nostri stomachi sono vuoti. Non c’è niente, tranne questa manna.” Wow! Avevano proprio del fegato! Che gente ingrata!
Se voi foste Mosè, come avreste risposto a queste lamentele? Credo che mia madre avrebbe detto “vai subito in camera tua senza cena!”
Rashi, il grande commentatore rabbinico, difende il popolo d’Israele. Secondo lui, sono esausti dal caldo e dal loro viaggio. Mosè sta chiedendo loro troppo. Sono semplicemente irritati e stanchi e si lamentano come bambini. Un altro commentatore, Nachmanide, è in accordo con Rashi. Secondo lui il popolo “reagisce come reagirebbe chiunque si trovi sotto tale pressione.” Ciò nonostante, Mosè non perdona. Vede le richieste del popolo come mancanza di fede. Lo condanna per la sua mancanza di fiducia in Dio.
Un commentatore contemporaneo, Rabbi Samson Raphael Hirsch, risponde in maniera alquanto diversa da Rashi e da Nachmanide. Secondo lui, gli Israeliti stanno lamentandosi per noia e per un senso di diritto. La vita nel deserto è troppo facile. Dio dona loro la manna e l’acqua. Mosè li conduce nel viaggio. Il tabernacolo è completo. Non manca niente. La loro vita è semplicemente troppo facile. Vogliono un po’ di eccitazione e di nuovi stimoli, e una maggior varietà di cibo! Frustrati dal non avere nè obbiettivi nè sfide, iniziano a mormorare contro Mosè e Dio.
Troppo spesso anche noi siamo come gli Israeliti nel deserto. E’ troppo facile lamentarsi. Sì, il nostro mondo è pieno di dolore, di malattie e anche di disperazione. Negli ultimi mesi e anche negli ultimi giorni, abbiamo assistito a sfide oltre la nostra immaginazione. Sì, come gli Israeliti nella nostra porzione di Torah, è facile lamentarsi. Ciò che non è facile, nei momenti privi di speranza, è di avere fiducia. La nostra fiducia non deve essere per forza cieca. In quanto ebrei, dobbiamo ricordare. Non possiamo ignorare il dolore. Eppure essere ebrei significa avere fiducia. La nostra sfida è ricordare ciò che c’è di buono nel nostro mondo, nelle nostre vite e nell’umanità. Come gli Israeliti dobbiamo continuare a marciare verso la terra promessa. Con la nostra tradizione a farci da guida, con il nostro passato a ricordarci lezioni importanti, possiamo guardare al futuro nella consapevolezza che un giorno migliore ci attende.
Shabbat Shalom
Rabbi Don Goor