Riassunto: La nostra porzione di Torah inizia con il richiamo da parte di Mosè agli Israeliti delle leggi divine, in preparazione del loro ingresso nella terra promessa. Al popolo viene ordinato di recitare benedizioni e maledizioni una volta entrati. Mosè poi ordina loro di distruggere luoghi e oggetti di culto pagani; di seguire solo i veri profeti e di distruggere qualsiasi individuo o comunità che veneri altre divinità. Oltre a questo vengono rivisitate le leggi riguardanti il kashrut, il sostegno ai poveri ed il ciclo annuale delle feste.
Insegnamento: Essere ebrei è una cosa meravigliosa. Possiamo essere fieri delle feste che celebriamo e dei valori secondo cui viviamo. L’ebraismo dona profondità e significato alle nostre vite e ci ricorda costantemente di rendere il mondo un posto migliore.
Essere fieri del nostro ebraismo è fantastico. Detto questo, abbiamo il diritto di essere arroganti sulla nostra fede? Nella nostra porzione di Torah settimanale leggiamo che “Dio scelse noi tra tutti i popoli sulla terra come suo popolo prediletto.” Chiaramente l’idea che il popolo d’Israele sia il “popolo eletto” è centrale per la fede ebraica. Eppure, ciò cosa significa? Essere “eletti” ci rende migliori degli altri?
Mosè spiega al popolo che siamo consacrati a Dio, che ci ha scelti non perché siamo più potenti o numerosi, ma perché ci ama. Altri commentatori rabbinici, forse con velato umorismo, definiscono questo rapporto come dovuto a una reciproca disperazione! Dio si mise alla ricerca di un popolo da scegliere ma nessuno voleva Dio, finché quest’ultimo non incontrò gli Israeliti! Rashi, il più grande di tutti i commentatori, fa un paragone fra gli Israeliti ed una meravigliosa gemma nella collezione di un re. Il re possiede tantissime gemme, eppure potrebbe essere più affezionato ad una in particolare. Rashi ci insegna che tutti i popoli e le nazioni del mondo appartengono a Dio. Saremo anche speciali e preziosi, ma non siamo esclusivi. Nessun popolo, nemmeno gli Israeliti, può dire di essere l’unico popolo di Dio.
I pensatori ebrei moderni trovano la nozione di “popolo eletto” assai scomoda, temendo che porti ad arroganza nel nostro popolo e sdegno da parte degli altri. Mordechai Kaplan, un rabbino del ventesimo secolo, sostiene che non vi è nulla che dimostri che gli ebrei siano migliori degli altri. Scrive: “Nessuna nazione viene scelta o eletta o è superiore alle altre, ma ogni nazione dovrebbe scoprire la propria vocazione come fonte dell’esperienza religiosa e come tramite di salvezza per chi ne fa parte…” Rabbi Leo Baeck, in Germania e poi in Israele, dà una nuova opinione sul concetto di “popolo eletto”. Egli vede questo concetto come una condizione. Se il popolo segue i comandamenti di Dio e tiene fede al patto con Dio, esso sopravvivrà e prospererà come “popolo eletto”.
Essere scelti non è egoistico, né ci rende migliori degli altri. Rappresenta invece una sfida ad essere “la luce tra le nazioni”. Il nostro popolo ha l’onere di essere lo strumento di Dio nel portare la verità, giustizia, rettitudine, compassione e pace agli altri popoli della terra. Per i pensatori ebrei moderni non siamo un popolo “eletto” bensì un popolo di scelte. Un popolo con un ruolo speciale, una responsabilità, un ruolo unico ed importante da coprire nel mondo.
Shabbat Shalom
Rabbi Donald Goor