Shabbat B’chukotai 31 maggio 2019

Ci sono buone notizie e cattive notizie nella porzione della Torà di questa settimana. La parashah inizia con: “Se seguirete le Mie leggi e osserverete fedelmente i Miei comandamenti ci sarà”... benedizione. Queste sono le buone notizie. Il testo continua: “Ma, se non obbedirete alle Mie leggi e non osserverete i Miei precetti”… allora tutto l’inferno si scatenerà contro di voi. Sto parafrasando, ma il concetto è questo. La notizia migliore è che entrambe le promesse sono condizionali. Benedizione o maledizione – dipendono in larga parte da ciò che scegliamo di fare o non fare in questa vita.

Sono d’accordo con l’idea che ci siano sempre conseguenze alle nostre azioni, ma ci sono poche ragioni evidenti per credere che un tale sistema meccanicistico di ricompensa e punizione operi nell’universo. Come il Salmista giustamente fa notare a lungo, i giusti soffrono e i malvagi sembrano farla franca per i loro omicidi. Per questa ragione, il Movimento Reform ha eliminato il secondo dei tradizionali tre paragrafi dello Shema dal nostro libro di preghiere, il passaggio dal Libro del Deuteronomio che presuppone questa automatica teoria dell’esistenza: fai il bene/ricevi il bene, fai il male/ricevi il male. La vita veramente non funziona in questo modo, ma – mentre la virtù in se stessa non porta garanzia automatica di una ricompensa immediata – ciò non l’ha mai esclusa come finalità degna per raggiungere la quale l’umanità dovrebbe sforzarsi. Questo, sembra, fino ad ora.

L’International Press (Stampa Internazionale) segnala che i movimenti populisti nel mondo stanno prendendo di mira e diffamando coloro che etichettano come “benefattori”. Qui, Salvini inveisce contro i “buonisti”. I social media in Germania attaccano gli “sporchi benefattori di sinistra”. Slogan simili stanno comparendo in Spagna, Inghilterra e Australia. Cercano di rendere la parola “buono” un peggiorativo e coloro che professano di agire spinti da tali principi nemici del popolo. Il concetto stesso di bontà è sotto attacco.

La psicologia rabbinica presenta la nozione di uno yetzer tov e uno yetzer ha-rah – l’inclinazione a fare il bene e l’inclinazione a fare il male. Entrambe esistono dentro di noi ed entrambe sono necessarie. I rabbini insegnano che lo yetzer ha-rah, comunque, è un “male necessario”, poiché senza di esso nessuno avrebbe figli, costruirebbe una casa o si impegnerebbe nel commercio. Descrivevano ciò che potremmo chiamare energia originaria necessaria, e di conseguenza questo rende la vita umana una continua lotta tra i due yetzrim. L’antidoto, ciò che tiene lo yetzer ha-rah sotto controllo, è la Torà. 

In altre parole, l’ebraismo aspira a fortificare e ispirare dentro di noi l’impulso a fare il bene, a farci propendere verso lo yetzer tov. Questo ci renderebbe un popolo di “benefattori”. La traduzione tradizionale della parola mitzvà è “buona azione”. Ci viene comandato di compiere 100 mitzvot al giorno. Un mensch è una persona che fa del bene agli altri e per gli altri.  

Fondamentale per l’etica giudaico-cristiana è l’affermazione che la vita è una scelta continua tra bene e male, benedizione e maledizione, e noi esseri umani siamo sempre creature che scelgono. Leggiamo a Yom Kippur dal Libro del Deuteronomio: “Io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male.   Scegli la vita, perché viva tu e la tua discendenza”. E nei Libri di Michea e Isaia: “Ti è stato detto che cosa è buono e che cosa il Signore richiede da te. Solo compiere la giustizia, amare la misericordia e camminare umilmente con il tuo Dio”.

Non è così complicato. La Torà lo spiega molto chiaramente. Il contrario di benefattore è malfattore e coloro che rifiutano il concetto stesso di fare il bene porteranno con sé solo distruzione e maledizione. Quindi dico: Viva i buonisti! Cercate di essere annoverati nel loro gruppo.

 Shabbat Shalom

Rabbi Whiman