Shabbat Vayaitzei 6 Dicembre, 2019

Credo che Vayaitzei sia la mia porzione di Torà preferita. L’immagine di una scala che porta dal cielo alla terra. Angeli che salgono e scendono. Giacobbe che si desta dal suo sonno e pronuncia una delle frasi più veritiere in un libro pieno di versi memorabili. “Dio è in questo luogo,” dice Giacobbe, “ed io non lo sapevo.” Credo sia il precursore del più succinto acronimo di oggi, OMG.

C’è qualcosa di importante in questo verso che viene perso nella traduzione. Nella lingua ebraica il soggetto viene incluso nel verbo. Quindi quando in Genesi 28:16 leggiamo v’anochi (ed io) lo yadati (io non lo sapevo) troviamo un “io” superfluo in questo verso. La traduzione dovrebbe letteralmente essere, , “Dio è in questo luogo ed io, io non lo sapevo”. L’ebraico implica uno stridente senso di riconoscimento di ciò che prima era stato ignorato.

Immaginatevi una persona a cui viene concesso l’ingresso a Buckingham Palace per un’udienza con la regina, e nella presenza di sua maestà, si sdraia sul divano e si addormenta.

Dei diversi commenti offerti dalla nostra tradizione quindi, provate a leggere il verso in questa maniera:

Dio è in questo luogo ed io non lo sapevo, perché se lo avessi saputo, non sarei stato cosi maleducato da addormentarmi. In altre parole, la presa di coscienza del proprio contesto dovrebbe influenzare un comportamento consono.

In ebraico, la parola per un comportamento consono è derech eretz. Letteralmente significa “la via della terra”. Il termine rappresenta la via appropriata, rispettosa ed etica secondo cui una persona si dovrebbe comportare quando interagisce con gli altri.. E’come ci si dovrebbe comportare nel corso del cammino della propria vita. Vi è un intero trattato dedicato al derech ertez nel Talmud.

Derech eretz è ebraico. Nello Yiddish il suo equivalente è menschlichkeit. Essere un mensch significa essere una persona onesta ed etica che si impegna a fare sempre la cosa giusta in maniera onorevole e senza pretese. All’età di due anni mio nipote imparò a mettersi a sedere dritto da solo, e suo nonno disse : “Guardate Adam. Si siede proprio come un piccolo mensch.” Essere un mensch vuol dire essere retti.

Condividiamo il mondo insieme a milioni di altre persone. Le nostre interazioni con persone anonime e superficiali sono innumerevoli, ed il contesto del vivere in un mondo lesionante, a volte stressante e in continua trasformazione può portare anche la persona più dedita al derech eretz a perdere fiducia. O per dirla in un’altra maniera, menschlichkeit , non è sempre facile.

C’è un racconto di un sant’uomo, seduto sulle sponde di un fiume nel tentativo di salvare uno scorpione dall’annegare, ma ad ogni tentativo, lo scorpione tentava di pungerlo. I discepoli del sant’uomo chiesero: “Perché continui a provarci?” Lui rispose “Fa parte della mia natura salvare. Come è la natura dello scorpione di pungere. Perchè mai dovrei cambiare la mia natura se lui non cambia la sua?”

Il salmo 139 recita: “Dove me ne andrò lungi dal tuo spirito? e dove fuggirò dal tuo cospetto? Se salgo in cielo tu vi sei; se mi metto a giacere nel soggiorno dei morti, eccoti quivi. Se prendo le ali dell'alba e vado a dimorare all'estremità del mare, anche qui vi mi condurrà la tua mano, e la tua destra mi afferrerà.”

Ciò significa che Dio è in questo luogo, ogni luogo, ovunque. E se e quando ce ne rendiamo conto, saremo più portati a comportarci di conseguenza. Quindi il principio persiste. Quando si tratta del derech eretz, un riconoscimento di un contesto Divino pervasivo ci sarà sicuramente di aiuto.


Shabbat Shalom

Rabbi Whiman