Shabbat Toldot 29 Novembre, 2019

La matriarca Rebecca, come Sara prima di lei, non ebbe figli.

Quando finalmente rimase incinta, il parto fu molto difficile- al punto che Rebecca urlò “lamah zeh anoch”.

Una vecchia traduzione lo interpreta come: “Perché sono cosi?” Io interpreto il lamento come:

“Cosa ho fatto per meritarmi questo?” Una tipica domanda che ci poniamo in momenti di stress o di sofferenza.

La domanda stessa poggia sull’assunto che la sofferenza sia la conseguenza di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Il Midrash interpreta questo passo in maniera diversa.

La domanda di Rebecca fu: “Se questo è ciò che ci vuole per dare alla luce dei figli, perché ero cosi ansiosa di averli?”

In altre parole, “Che cosa stavo pensando?” “Perché diavolo avrei mai voluto questo?”

Una domanda sicuramente comune quando si scopre che la cosa che desideravamo ardentemente

non porta quella felicità o soddisfazione che ci aspettavamo.

Una traduzione più recente e credo migliore è: “Se è cosi, perché esisto?”

Difatti più avanti nella parashà Rebecca si esprime in maniera simile quando dice ad Isacco, lamah li chayim?

“Come posso essere ancora viva?” Una domanda comune che ci poniamo quando, prima o dopo, raggiungiamo quel momento nella nostra vita in cui ci chiediamo: “Che senso o che funzione ha la mia vita?”

In Ebraico la risposta è l’kach nasartah, “sei stato creato per questo”.

Prima di entrare in politica, il presidente degli Stati Uniti Harry Truman era socio di un’industria tessile, insieme al suo amico Eddie Jacobson. Nel 1948 durante il dibattito in corso presso le Nazioni Unite sulla creazione dello stato d’Israele, Eddie Jacobson andò dal presidente Truman per convincerlo a votare a favore. Eddie Jacobson (alcuni dicono fosse Chaim Weizmann) disse a Harry Truman, l’kach nasarta – “sei stato posto nel ventre di tua madre per questo sacro motivo”.

“In questo momento hai l’opportunità di giustificare e dare un senso alla tua esistenza dando sostegno

alla storica rifondazione di uno stato ebraico”.

Momenti di realizzazione come questi non necessitano necessariamente di un’importanza o di un impatto storici.

Ma, per ognuno di noi, ci sono momenti in cui - se siamo pronti a guardare oltre i nostri orizzonti di scetticismo–potremmo abbracciare il concetto che la nostra vita è al servizio di un qualcosa di più elevato, quando il significato di ciò che ci viene chiesto di fare va oltre l’ordinario, quando trascende la norma e il naturale.

Sono momenti come questi che portano un significato chiaro e lungimirante ai nostri giorni.

Lo storico inglese Paul Johnson scrisse un trattato sulla storia degli ebrei. Analizzò 4000 anni di sofferenze e fatiche e la sua conclusione fu la seguente: “Gli ebrei rimangono fortemente attaccati al concetto che la storia abbia un significato e l’umanità un destino”. Se ciò vale per un collettivo allora vale certamente anche per l’individuo.

Nel 1998, lo studente omosessuale Matthew Shepard fu derubato, torturato e lasciato a morire legato ad una staccionata.

Un altro studente, Aaron Kreifles in giro con la sua mountain bike lo trovò il mattino seguente e lo portò in ospedale, dove Matthew morì sei giorni dopo. Di quel giorno Kreifles scrisse: “La mia bici colpì una roccia e caddi.

Io non cado mai. Fu allora che vidi Matthew”. L’immagine di quel ragazzo picchiato a sangue rimase con lui per mesi.

“Continuavo a chiedermi: Perché? Perché sono caduto? Perché dovevo trovarlo io, soprattutto se sarebbe morto comunque?”.

”In fine concluse: Credo che Dio non voleva che Matthew morisse da solo. Ma perché dovevo essere io?”

L’kach nasartah. Sei stato creato per questo.

L’kach nasartah – tenetevi questa frase a mente per quando vi rendete conto che siete andati ben oltre il concetto di aver fatto la differenza o di aver compiuto una buona azione. Può darsi che abbiate portato avanti il lavoro di Dio ed il suo piano per il creato. Può esservi una realizzazione più sacra o più esaltante di questa?

Shabbat Shalom

Rabbi Whiman