Nella porzione di questa settimana incontriamo il giovane Giuseppe.La sua storia è forse quella più lunga nella Torah, ma in questo caso sappiamo solo che è un pastore, che è il figlio prediletto di Giacobbe, che i suoi fratelli lo odiano e che precedentemente aveva riportato dei debatam ra’ah su di loro a suo padre. Nelle varie traduzioni questa frase viene tradotta come “cattivo resoconto”, “resoconto malvagio” o (anche) “falso resoconto”.
Un midrash, commentato da Rashi, dice: “Giuseppe raccontò a suo padre qualsiasi cosa che percepì di sbagliato nei suoi fratelli, i figli di Lea: che mangiavano carne tagliata da un animale ancora vivo, che trattavano i figli delle serve con disprezzo, chiamandoli schiavi, e che erano sospettati di vivere vite immorali. Il midrash lascia aperta la veridicità di queste accuse. Potevano essere storie inventate con malizia, e infatti il passaggio continua dicendo che Giuseppe pagò il prezzo per ciascuna di queste storie. “Dato che Giuseppe li aveva accusati, dicendo che chiamavano i loro fratelli schiavi, venne venduto come schiavo. E dato che Giuseppe aveva accusato loro di immoralità, lui stesso venne poi accusato di immoralità dalla moglie del suo padrone.”
L’obbiettivo di questo insegnamento è ambiguo. Se le storie raccontate da Giuseppe fossero state vere, perché soffrì di conseguenze così negative per averle raccontate? D’altro canto, se le sue storie fossero state false, e le conseguenze meritate, che il midrash ci stia dicendo che ci sono conseguenze alle nostre azioni e chi ci sia al mondo una punizione “karmica”?
Gli esseri umani devono avere un po’ di fiducia nelle persone con cui condividono la propria vita. Ciò vale per parenti, i vicini, i colleghi e la comunità; se e quando questa fiducia va persa è raro che la si possa ritrovare. Quindi non c’è da sorprendersi se i fratelli di Giuseppe lo odiassero.
Il testo recita, v’lo youchlu dabro l’shalom – questo viene solitamente tradotto come ‘non potevano più parlare con lui in maniera pacifica”. Si, shalom significa pace, ma la parola assume anche un significato di “completezza” e “interezza”. Quindi ciò che potrebbe essere andato perso con i resoconti falsi di Giuseppe fu che i suoi fratelli non potessero più fidarsi di lui completamente.
E’ molto difficile, se non impossibile, stare insieme o lavorare con persone di cui non ci fidiamo, e la sfiducia può anche portare ad emozioni ben peggiori e distruttive. Se vogliamo la fiducia da parte degli altri dobbiamo esserne degni.
Una volta si diceva che la gente avesse il diritto di avere le proprie opinioni ma non la propria versione dei fatti. Questo concetto sembra ormai antiquato, ma quando certi fatti vengono cosi facilmente etichettati come falsi, quando le falsità prosperano smodatamente, quando le teorie cospirative suggeriscono che non tutto è ciò che sembra, diventa sempre più difficile sapere di chi, quando e di cosa potersi fidare. Il concetto stesso di verità è sotto attacco.
Il profeta Isaia espresse questo monito: “Attenzione a coloro che chiamano male il bene ed il bene il male, che scambiano oscurità per luce e luce per oscurità, che considerano amaro il dolce e dolce l’amaro.” Io aggiungerei verità per falsità e falsità per verità.
Perché se c’è un regolamento dei conti “karmico” in questo universo….
Shabbat Shalom
Rabbi Whiman