Shabbat Chayei Sarah 22 Novembre, 2019

Nella porzione di Torà di questa settimana muoiono in successione, Sara, Abramo ed Ismaele. Sara visse fino a 127 anni, Abramo fino a 175 ed Ismaele fino a 137. Di Abramo, la Torà dice : va yamot b’savah tovah , “Mori’ ad una veneranda età”. E poi il testo ripete il pensiero : “zakain v’savayah”,  che viene tradotto come “pieno di vecchiaia” , oppure ‘vecchio e contento.’ Tradizionalmente, la ripetizione veniva intesa in primo luogo per la numerazione della quantità di giorni vissuti da Abramo, in secondo luogo per una indicazione della loro qualità.

Molti anni e capitoli dopo, Giuseppe porta suo padre Giacobbe in Egitto. Quando Giacobbe viene presentato al faraone, la prima cosi che gli viene chiesta é: “Quanti anni hai?”  Giacobbe risponde, “130, ma pochi e tristi sono stati i giorni degli anni della mia vita.”

Quindi cosa viene considerata una vita lunga e felice? Mentre mi trovo presto a raggiungere un altro compleanno divisibile per dieci e dato che ho avuto il privilegio di condividere la mia vita con diversi modelli di vita nel corso degli anni, mi sento abbastanza coraggioso per dare una risposta a questa domanda.  Cosa viene considerata una vita lunga e felice? Ovviamente vuol dire una vita di salute, con il minimo numero possibile di dolori e fastidi fisici, che vanno di pari passo alla longevità. Certamente anche una continua sicurezza economica. E’ inoltre una grande benedizione se si ha un compagno o compagna e amici di vecchia data - quelle persone che ci conoscono per quello che siamo e per chi eravamo. E’ bello essere circondati da persone con cui si può condividere dei ricordi. Una famiglia premurosa ma non troppo è sicuramente un vantaggio, ed è buona cosa trovare nuove sfide e diversivi durante il corso della propria esistenza.

Ma tenete conto che Abramo e Giacobbe ebbero vite molto simili. Entrambi affrontarono le stesse sfide e delusioni dell’infertilità della propria compagna, ebbero diversi problemi coi propri figli e subirono momenti di cambiamenti fisici e di difficoltà. Entrambi conobbero il dolore di una perdita personale. Entrambi avevano messo assieme una considerevole ricchezza sotto forma di bestiame, erano molto stimati dai loro vicini, e ricevettero ottime cure nel corso della vecchiaia e si trovarono in prossimità di un Dio che camminò con loro e li benedì durante il corso delle loro vite. Quindi perché Abramo trovò la felicità nella propria vita e Giacobbe no?

 Credo che occorra notare che la valutazione positiva della vita di Abramo è fatta da terzi, il narratore della storia in questo caso, e non da Abramo stesso. Giacobbe invece dà una valutazione personale di tutto ciò che gli era capitato nel corso dei suoi giorni. Quindi ciò che dall’esterno potrebbe sembrare “bello” potrebbe non esserlo dal punto di vista della persona che valuta la propria vita.

Rileggendo i capitoli che descrivono la vita di Abramo, rimasi colpito dalle innumerevoli istanze in cui il testo recita: “E Abramo passò oltre.” Non solo in senso geografico, ovvero dal punto A al punto B, ma più nel senso che, dopo aver assorbito lezioni, benedizioni ed opportunità di una fase della propria vita, egli passava a quella successiva. Forse la prospettiva viene dalla realizzazione che ogni fase della nostra vita ha o ha avuto le sue gioie e delusioni, che non si può solo vivere nel passato e che lo speranzoso pensiero di cosa ci riserverà il futuro porta con sè al fine una sensazione di contentezza. Una parte di una mia vecchia canzone preferita recita: “Ogni nuovo inizio viene con la fine di un altro inizio.”

Shabbat Shalom

Rabbi Whiman