Shabbat Pesach 19 Aprile 2019

Non ci crederete, ma il mio primo ricordo di Pesach è di mosche. Centinaia e centinaia di mosche. Da non confondere con quelle della quarta piaga descritta nella Haggadà, ma mosche vere.

 

Mia nonna preparò il suo tradizionale pesce gefiltein puro stile Ashkenazi. Macinò la carpa e il luccio a mano per poi bollire le risultanti polpette di pesce in una grande pentola blu. Dato che sono cresciuto nel sud degli Stati Uniti, era normale che la temperatura fosse elevate durante la primavera e quindi nel periodo di Pesach. Di conseguenza le finestre della cucina rimanevano aperte, e l’odore di quel bollito di pesce attraeva ogni mosca del vicinato. Mi ricordo ancora il rumore che facevano mentre sbattevano ripetutamente contro i vetri, cercando di accedere alla casa. E questo ricordo riaffiora durante questo periodo dell’anno.

 

Ma poi tutto iniziò a cambiare. In casa venne installata l’aria condizionata e quindi le finestre rimanevano chiuse. Le mosche non vennero più a trovarci e quando mia nonna finì in una casa per anziani anche lei non venne più a farci visita durante Pesach. La caratteristica dei ricordi è che prima o poi sfuggono via, a meno che non ci si impegni consapevolmente a tenerli in vita. 

 

Alcuni anni fa decisi di provare a riproporre il pesce gefilte di mia nonna, utilizzando la sua ricetta e la sua macina. Ma David non voleva. Insistette sul comprare un barattolo commerciale Manashevitz, perché era tradizione della sua famiglia mangiare quello durante Pesach. Aveva un ricordo diverso. Tradizioni diverse nascono da ricordi diversi e, per la maggior parte, Pesach riguarda i ricordi. Cibo e rituali tradizionali. Sapori. Aprire la porta per Elia. Recitare le quattro domande. La prima volta in cui si era troppo grandi per fare le quattro domande. Persone che non sono più con noi. Questi sono i ricordi che rendono speciali questo seder.

 

Se avete scelto o state pensando di scegliere l’ebraismo, per voi Pesach vuol dire creare ricordi. Il fare tesoro delle prime esperienze del vostro cammino ebraico per poi custodirle gelosamente.

E va benissimo cosi, perché ricordare è una mitzvà di primaria importanza durante questa festa.

 

Che siate veterani o neofiti (stranamente e forse più importante) Pesach vi chiede di ricordare qualcosa che non vi è mai accaduto. Voi non siete mai stati schiavi del faraone in Egitto, ciò nonostante vi viene chiesto di ricordare questo periodo, come se voi foste stati lì di persona. La Torà ci comanda “Ricorda il giorno in cui TU lasciasti l’Egitto”. Altrove, “chayav adam lerot et atsmo c’elu hu yatsah me’mitrayeem“. Con ogni passaggio delle generazioni, dovete pensare che voi abbiate personalmente vissuto durante l’esodo. 

 

La verità è che non si può ricordare ciò che non ci è mai capitato. Ma si può vivere come se si avesse imparato le lezioni frutto di quella esperienza. E perché ci è possibile immaginare come sarebbe stato, ci possiamo ricordare il cuore di straniero perché, a nostro modo, anche noi eravamo stranieri in terra d’Egitto. Non bisogna opprimere i poveri o negare i diritti degli altri, perché possiamo immaginare cosa avevamo provato quando era stato fatto a noi. L’esodo sarà un ricordo fantasma di oppressione e schiavitù (per grazia di Dio culminate nella liberazione) ma bisogna agire e vivere come se fosse realmente accaduto a noi. Possiamo sentirci confusi da questo concetto, ma funziona. Il ricordo dell’oppressione e della liberazione ha sostenuto il nostro popolo per secoli e ha generato un amore per la libertà ed un impegno nei confronti della giustizia sociale. 

 

Quindi quest’anno a Pesach, ricordate e create dei ricordi per poi farne tesoro, in quanto doni fantastici e misteriosi quali sono. 

 

Shabbat shalom e Chag Sameach

Rabbi Whiman