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La Parasha della settimana: Tisha B’Av

La porzione di Torah di questa settimana è tratta dal secondo libro del Deuteronomio. Il riassunto di cose già viste precedentemente nella Torah avvengono nel Deuteronomio ed in questa porzione abbiamo un ricapitolo dei dieci comandamenti, dello Shema e del V’ahavta.

                Questa settimana abbiamo anche ricordato il Tisha B’Av, un giorno importante di digiuno in cui ricordiamo le grandi tragedie della storia ebraica, in particolare la distruzione del tempio di Gerusalemme. In Israele è un vero e proprio giorno di lutto. La commemorazione comincia mercoledì sera con coloro che pregano seduti per terra, come se si stesse commemorando un caro estinto.  Seguono poi dei canti dal libro delle lamentazioni, e intonazioni di canzoni tristi. Dal tramonto fino alla sera del giorno seguente si digiuna, niente cibo, niente da bere, niente acqua. 

                Nonostante comprenda il grande significato di Tish B’Av’s, Io non digiuno. Per anni digiunai durante questo periodo per approfondire la mia comprensione delle grandi perdite che il nostro popolo subì e per commemorare la distruzione di Gerusalemme. Ma una volta trasferitomi in Israele, ed in particolare a Gerusalemme, smisi di digiunare. 

                Non digiuno per diversi motivi. La distruzione del tempio rese possibile lo sviluppo dell’ebraismo rabbinico e lo sviluppo di un ebraismo democratico che rappresenta il popolo più di quello che un ceto sacerdotale possa fare. Non rimpiango la fine di un sistema di caste, di sacrifici avvenuti nel tempio, o l’autorità riservata ai soli Kohanim. La distruzione del tempio portò anche allo sviluppo di un ebraismo liberale e con esso un senso maggiore di autonomia, il riconoscimento del diritto delle donne ad essere pienamente partecipi nella preghiera e riconosciute pienamente come membri della comunità, dato che in precedenza furono relegate fuori dalla tenda d’incontro. Pregare per la ricostruzione del tempio (che rappresenta una delle parti centrali delle preghiere del Tisha B’Av) negherebbe la democratizzazione e modernizzazione della sinagoga contemporanea e della comunità ebraica, cosi come la conosciamo oggi.

                Io non digiuno perché il mio digiuno rappresenterebbe non solo una richiesta che il tempio sia ricostruito, ma che Gerusalemme sia ricostruita. Io vivo in una Gerusalemme ricostruita.  E’ una città magnifica e moderna, una giustapposizione tra il moderno e l’antico e sta diventando sempre di più un centro di commercio, d’industria, ed un centro importante per tutto il Medio Oriente. Gerusalemme non è solo stata ricostruita, essa è in costante ricostruzione. Le pietre antiche si mescolano ai moderni grattacieli, le vie della vecchia città sono adiacenti ad un treno ad alta velocità che ti può portare da Gerusalemme a Tel Aviv in 28 minuti. 

                Il digiuno del Tisha B’Av lamenta la distruzione dell’unità ebraica. Ma questo concetto di unità è falso, una versione romantica del passato. Il popolo ebraico non è mai stato un tutt’uno. Negli antichi tempi vi furono lotte intestine tra gruppi e sette, in particolare fra i Sadducei ed i Farisei.  Oggi questa lotta intestina viene perpetuata con palese impunità e corruzione dai capi del rabbinato che macchiano il nome di Dio e la nostra tradizione nella loro interpretazione del loro stile di ebraismo che nega diritti a donne, ai non ebrei, ed ai membri della comunità LGBTQ.

                Io non commemorerò ne digiunerò questo Tisha B’Av perché la ricostruzione e nuova nascita del tempio sono predicate sull’oppressione di coloro che vivono in Israele: rifugiati, lavoratori stranieri, non ebrei, palestinesi e musulmani. Non posso digiunare questo Tisha B’Av quando il mio digiuno rappresenta la negazione dei diritti degli altri e la loro oppressione.

                Quindi come osserverò Tisha B’Av? Non uscirò per pranzo o per cena, invece, rimarrò a casa e leggerò l’antico libro delle lamentazioni e le parole moderne di poeti quali Yehudah Amichai, che comprendono la natura conflittuale di questa città santa che io chiamo casa.

                Durante Tisha B’Av cantiamo: “Riportaci, o Dio e noi torneremo”-questa è la frase finale del libro delle lamentazioni. Tis Tisha B’Av, prego che possiamo tornare ad un ebraismo e ad una Israele benedetta dalla giustizia e dalla bontà, dalla rettitudine e dalla pace.

Shabbat shalom.

Cantor Kent

Parasha della settimana: Devarim 24 luglio 2020

Il Febbraio scorso, prima che il Corona virus cambiasse le nostre vite e ci venisse detto di indossare maschere, di mantenere la distanza sociale, di lavare le mani più volte al giorno, e finissimo per acquistare grandi quantità di spray anti-virus, gel per le mani etc, ero negli Stati Uniti. Mi stavo esibendo nel mio one man show “Shards” per le sinagoghe Reform in Florida, Texas, e presso il Rodeph Sholom a New York.

Trovandomi casualmente a Manhattan, cerco di vedere dei musical a Broadway. Non vi è nulla di più di magico che entare in un teatro, cercare il proprio posto, accomodarsi, attendere che luci si abbassino, che cominic la ouverture, che si accendano i fari del palco, e che giungano gli attori. Non vi è nulla come il teatro: ogni esibizione è leggermente diversa, e c’é un’elettricità nell’aria che non può essere riprodotta in nessun’altra forma artistica.

L’ultimo spettacolo che vidi a Broadway fu l’esilarante “Hadestown”, (e quando i teatri riapriranno, e lo faranno, segnatevi questo nome), sono sicuro che arriverà anche in Italia. La trama è una reinterpretazione moderna della storia di Orfeo ed Euridice. Se avete presente questo mito greco vi ricorderete che Euridice finì negli Inferi e solo Orfeo poteva riportarla sulla terra, alla condizione che, durante il loro viaggio di ritorno dagli Inferi, Orfeo non si voltasse mai indietro per assicurarsi che Euridice lo stesse seguendo. Ma come spesso accade nei miti, lui si voltò e la sua amata ritornò per sempre negli Inferi.

Quindi, vi starete chiedendo, cosa ha a che fare questa storia con la porzione di Torah di questa settimana: Devarim (Deuteronomio)? Il Deuteronomio, nel quinto libro della Torah, non solo è il libro conclusivo dei cinque libri di Mosé, ma è anche un riassunto delle storie precedenti. Quando arriviamo al Deuteronomio sappiamo che stiamo giungendo alla fine di un ciclo annuale nella nostra lettura di Torah. Nel Deuteronomio incontreremo Mosè che ripeterà più volte agli Israeliti di obbedire Dio, di non abbandonare la strada che Dio ha creato per loro, di ricordare dove erano stati, di ricordare il loro viaggio e di non dimenticare che furono schiavi in Egitto. E poi, negli ultimi versi del libro, leggiamo della incombente morte di Mosè.

Sapendo che la sua morte è vicina, Mosè benedice gli Israeliti. Il suo tono cambia da genitore spesso arrabbiato a quello di padre amorevole e benedice tutte le tribù di Israele, offrendo loro un ricordo del passato e speranza per il futuro. In seguito a questo Mosè ascende presso il monte Nebo e muore.

Quindi, vi starete ancora chiedendo, quale è il nesso tra questo ed il musical, “Hadestown”. Alla conclusione di “Hadestown” il narratore si rivolge al pubblico e canta:

E’ una vecchia canzone...è una vecchia storia di anni fa...

E’ una vecchia canzone - e finisce così…

Questa canzone fu scritta tempo fa – e fa così.

E’ una canzone triste - una tragedia …

Ma la cantiamo lo stesso…

Perché il punto è sapere come finisce e cominciare a cantarla di nuovo lo stesso

Queste parole conclusive ci ricordano come, anche quando sappiamo come la storia finisce, la rileggiamo e la raccontiamo ancora ed ancora. Quando sentiamo del mito di Orfeo ed Euridice, speriamo che forse questa volta Orfeo non si volterà e che la coppia potrà tornare a vivere insieme. Quando leggiamo la Torah, vi è speranza che forse questa volta, giunti alla fine, invece di morire sul monte Nebo solo e vecchio, Mosè potrà raggiungere la terra promessa insieme al suo successore Giosuè.

Ma ogni volta che raccontiamo la storia Orfeo si volta, ed ogni volta che finiamo il Deuteronomio Mosè muore. Ed ogni volta, proprio come migliaia di anni fa, finito il libro di Devarim immediatamente torneremo all’inizio della Torah, ovvero alla storia della creazione.

Quindi unitevi a me nella lettura del Deuteronomio. Sappiamo già cosa succederà, ma ciò è il bello del raccontare una storia: per un breve attimo mettiamo da parte ciò che sappiamo, come se stessimo sentendola per la prima volta.

Come ci viene detto in “Hadestown”: La canteremo di nuovo…

Shabbat shalom.

Cantor Kent