Nel corso degli anni ho scoperto di avere un rapporto di amore e odio con Sukkot. Durante il periodo in cui lavoravo a Boston era la mia festa preferita. Nel New England Sukkot è una festa autunnale al 100%, l’aria è fresca, le mele sono croccanti e la luce del sole diventa deliziosa. Puoi passare delle ore ad oziare “nella tua capanna” e non stai buttando via del tempo. A Houston, dove ho lavorato per diversi anni, temevo l’arrivo di Sukkot. Nel Texas l’estate si protrae ben oltre Ottobre. Quando giunge questa festa la temperatura è ancora elevata, l’umidità è pazzesca e le zanzare sono fameliche. Passare anche solo 10 minuti in una sukkah a Houston equivale ad una punizione.
Indipendentemente da dove vi trovate, la Torà considera questa festa come he-chag, la festa per eccellenza; ed il nostro libro di preghiere la definisce come zeman simchatynu, la stagione in cui rallegrarsi. Quindi, se Rosh Hashanah vuol dire giudizio e Yom Kippur vuol dire penitenza, Sukkot vuol dire gioia. In seguito al pesante esame di autovalutazione che ci catapulta nell’anno nuovo, è una consolazione potersi concentrare sulla felicità.
In Israele, nell’antichità, Sukkot rappresentava l’ultima festa avente come tema il raccolto. Tutto era stato raccolto e, in quanto popolo agricolo, ciò era motivo di giubilo, di libertà dal lavoro e dalle preoccupazioni. Nel Levitico, la Torà ci ordina “Prendete i rami di una palma, le foglie di mirtillo e salice, e il frutto di un albero (lulav ed etrog) e giubilate dinnanzi al Signore per sette giorni”. Il motivo per cui queste quattro specie di flora siano motivo di giubilo e dovrebbero portare gioia, francamente mi sfugge. Forse queste quattro specie sono una scusa per considerare le domande : “Cos’è la gioia?” e “Quali sono quelle cose che portano vero piacere in vita e nella nostra quotidianità?”
Felicità e gioia non sono la stessa cosa. Entrambe sono emozioni degne e positive. La felicità deriva da persone o cose esterne ed è spesso causata da altre persone, luoghi, pensieri e cose. Di conseguenza, tende ad essere momentanea e viene da una contentezza a breve termine. La felicità è passeggera. È situazionale. La gioia d’altro canto è indipendente dalle circostanze del momento. Viene da dentro. La gioia nasce quando facciamo la pace con noi stessi, con quello che siamo e come siamo.
È interessante che l’ebraico abbia ben 10 parole per la sola parola “gioia”. Vedo questo fatto come indice che l’ebraismo prevedeva che avremmo avuto una tale abbondanza di gioia da aver bisogno di dieci parole per descrivere le variazioni, sottigliezze e sfumature per ciò che concerne questa emozione. La gioia è sicuramente un concetto difficile da considerare. E se ci pensiamo: come si può comandare a qualcuno di essere gioioso? Così facendo, non sarebbe un’emozione finta?
Nella spesso ripetuta seconda parte dello Shema, la v’ahavtah, ci viene detto: “Amerai il Signore, tuo Dio”. Quando gli viene chiesto come qualcuno possa amare qualcosa o qualcuno a comando, Martin Buber spiega che l’unico risultato ragionevole e prevedibile di una vera comprensione di Dio sia di provare amorevole adorazione. Il concetto non è il medesimo per ciò che riguarda altri esseri umani. L’ingiunzione, “Ama il tuo prossimo come te stesso” è meglio tradotta come “Agisci in maniera amorevole verso il tuo prossimo” anche se questi ti è antipatico.
Quindi, come può la Torà comandarci di gioire? La gioia è amore. Nella Sukkah – perdonati e riconciliati con il Creatore, circondati da un’abbondante raccolto, dai propri cari ed da ospiti, riposandovi dalla stanchezza e lo stress del vostro lavoro — il risultato prevedibile e ragionevole dovrebbe essere gioia. Ma oltre queste benedizioni vi è di più. Se alzate il volto verso il cielo dalla vostra capanna, e scorgete la vastità e infinità dei cieli, come si può non provare gioia che il Padrone e Creatore del cielo e della terra abbia attenzioni per voi? E non solo mere attenzioni, ma piene di amore e dedizione. È un sollievo sapere che non dipendo completamente da cosa gli altri dicono o scrivono sulla mia pagina Facebook per sentirmi meglio. Dovrebbe essere come descritto nel libro del Nehemiah: “La gioia del Signore è la tua forza.”
Chi, perché e cosa siamo? Sukkot ci dà la risposta: un po’ meno che angeli, ma dotati e sostenuti da un’inalienabile dignità e valore. E se potete tenere questo concetto a mente, il sapere che la Fonte dell’Universo gioisce del vostro essere voi stessi, potrete emergere gioiosi dalla vostra Sukkah o comunque rafforzati e pronti per le sfide della vita.
Chag Saeach. Felice, o meglio ancora, abbiate un Sukkot gioioso.
Rabbi Whiman