Quando i castelli italiani smisero di essere fortezze e assunsero più il ruolo di case per la nobiltà, la cosa più importante a livello architettonico divenne la scalinata principale: più maestosa era questa più imponente risultava il castello. Inoltre, l’importanza del visitatore era data da quanto il proprietario del castello scendeva la scalinata per incontrarlo. Se il visitatore doveva arrivare fino in cima alle scale per incontrare il nobile proprietario oppure questi scendeva qualche scalino per venire incontro al suo ospite, era subito comprensibile l’importanza del visitatore ed il riguardo nei suoi confronti.
Nella Parashat Vayetze, Giacobbe sogna di una sulam mutazav artza, una scala, che porta dal cielo alla terra. Degli angeli stanno salendo e scendendo la scala. Dal canto suo, Giacobbe viene sempre rappresentato addormentato a terra, ai piedi della scala. Dove si trova Dio in questo suo sogno?
L’ebraico dice: Adonai nitzav alav, che potrebbe essere tradotto come Dio era “sopra”, cioè in cima alla scala, oppure la stessa frase può essere compresa come “al suo fianco”, che lascerebbe intendere che Dio si trovasse vicino a Giacobbe. Quindi in base all’interpretazione, applicando il principio delle scalinate dei castelli italiani alla lettura della Torah, Giacobbe poteva essere il più insignificante dei visitatori portato al cospetto di Dio che era infinitamente lontano da lui, in cima ad una lunga scala. Oppure, Giacobbe era l’ospite più importante che Dio avesse intrattenuto dai tempi di Adamo ed Eva, dato che vediamo Dio scendere sino in fondo alla scala per dargli il benvenuto. Indipendentemente da come la si interpreta, il cielo e la terra sono collegati, ma Dio è, secondo il libro di preghiere di American Reform, “più lontano della stella più distante o più vicino dell’aria che respiriamo”. A quale delle due indicazioni dobbiamo riferirci?
Io vorrei suggerire di riferirci ad entrambe, aggiungendo che la frase ebraica è brillantemente ambigua.
Provate a considerare la questione in questo modo. Giacobbe ha ingannato suo padre e ottenuto la sua benedizione, rubandola di fatto a suo fratello maggiore Esaù. In precedenza era riuscito ad ottenere l’eredità tramite metodi altrettanto discutibili. Sta ora fuggendo dalla vendetta di suo fratello. Si ferma per la notte in mezzo al nulla, mette una roccia sotto la propria testa e dorme come un bambino. Solo, in un posto infestato da ladri, briganti e bestie feroci, lui comunque dorme tranquillo. Ma quando nel sogno gli si palesa Dio che gli promette un sacco di belle cose, Giacobbe è scosso, spaventato, terrorizzato.
Come è possibile che Giacobbe sia riuscito a dormire così beatamente prima di questa visione? Credo che fino a quel punto Giacobbe fosse convinto di averla fatta franca. Si era comportato in maniera discutibile sia moralmente che eticamente, ma era riuscito comunque nel suo intento. Aveva tradito suo fratello, ingannato suo padre ed il piano aveva funzionato. Almeno così pareva. Ma ora Dio gli compare in sogno e gli dice, u’shmartechah, che da un lato significa, ti proteggerò. Ma dall’altro significa, ti tengo d’occhio, ti sto osservando e non ti lascerò scappare.
Dio poi gli dice v’hashevotechah – e ti porterò indietro - che da una parte significa “ti riporterò a questo luogo”. Però hashevotecha è anche la parola ebraica per pentimento, “per farti pentire”. In altre parole, Dio dice anche “ti assisterò nel tuo sviluppo morale”. “Giacobbe”, Dio dice, “diventerai una persona diversa, una persona migliore. Fosse l’ultima cosa che farai. Fosse l’ultima cosa che farò io”. E ciò spaventa Giacobbe a morte.
Nell’ebraismo, la nostra comprensione di ciò che è morale ed etico ha radici negli insegnamenti sacri della nostra tradizione. Il Dio in piedi in cima alla scala, il Dio che chiamiamo Adonai, che va oltre la nostra immaginazione, è la fonte del nostro senso di giusto e sbagliato e la base della nostra comprensione morale ed etica. Ma il Dio che al medesimo tempo si trova ai piedi della scala al nostro fianco, dentro di noi, è la fonte della nostra capacità di sperare, di crescere e di diventare migliori di ciò che siamo.
Non dobbiamo imitare il comportamento morale ed etico di Giacobbe. Dovremmo invece usare questo suo comportamento per farci delle domande e per trarre insegnamento in merito al nostro. Giacobbe non è nella condizione di stabilire ciò che è giusto o sbagliato. Noi dovremmo utilizzare questi esempi ancestrali di un uomo imperfetto non come modello assoluto da emulare, ma come uno specchio con cui valutare come ci stiamo comportando nel corso del nostro cammino etico e spirituale. L’ebreo che segue gli insegnamenti virtuosi dati dalla tradizione sarà maggiormente portato a sviluppare una moralità da vedersi e interpretarsi come una benedizione.
Nell’ebraismo, l’essere giusti è una possibilità e non una garanzia. Come Dio disse a Giacobbe : “Sono con te, per incoraggiarti, assisterti e per mettere un braccio intorno a te, di consolazione e di perdono quando ne hai bisogno. Ora va’ verso la benedizione”.